sabato 1 maggio 2010

Giù il sipario!

Il primo teatro di cui si abbia una qualche notizia è il Teatro San Carlo, ristrutturazione dell’Oratorio di San Carlo requisito da Napoleone attorno al 1798 come quasi tutti gli edifici religiosi, localizzabile in via Sapri dove è stato per molti anni il Cinema Diana.

D’altra parte è logico pensare che in un borgo di un migliaio di abitanti le attività teatrali si svolgessero più per le strade che in locali ad esse dedicate.

Dopo sei anni di lavori, il 18 luglio 1846 avvenne l’inaugurazione, con l’Ernani di Giuseppe Verdi, del Teatro Civico.

Posto subito fuori le mura della città, possedeva una platea a forma di ferro di cavallo e sessanta palchi disposti in tre ordini sormontati dal loggione. Fu finanziato anche grazie al contributo di ricchi concittadini dell’epoca che ne ottennero in cambio la proprietà esclusiva ed illimitata dei palchi. La facciata originale aveva un porticato al piano terreno leggermente sopraelevato rispetto al livello della piazza, con un avancorpo centrale. Sul frontone erano collocate cinque sculture, tre sul tetto raffiguranti la Musica, la Tragedia, l'Arte Plastica e due frontali al porticato raffiguranti le allegorie del Golfo e della città della Spezia oggi poste lungo la via Chiodo.

Il Teatro Civico in una foto del 1871
Il Teatro Civico come era originariamente

Al primo piano del ridotto e nei locali vicini erano collocate le sale del “Casino Civico”, luogo di incontri mondani per la “Spezia Bene”.

Nel 1870 vi è traccia anche di un Teatro delle Varietà, detto anche teatro diurno, perché la platea era a cielo aperto, ubicato tra via Prione e via Duca d’Aosta, l’attuale via Rosselli. Calcò le sue scene nel 1879 una giovanissima Eleonora Duse nella “Teresa Raquin” di Emile Zola. Dopo pochi anni di attività l’area dove sorgeva il teatro venne però espropriata per la costruzione della zona di piazza del Mercato.

Con l’aumento vertiginoso della popolazione dovuto all’inizio dei lavori per la costruzione dell’Arsenale, il teatro Civico si rivelò inadeguato e pertanto il Comune concesse gratuitamente ad Agostino Chiappetti l’autorizzazione alla costruzione all’estremità opposta di Via Chiodo rispetto all’entrata dell’Arsenale, esattamente al centro dell’attuale Piazza Verdi, del Teatro Politeama Duca di Genova.

Eleonora Duse
Eleonora Duse

Come il Teatro Civico, il nuovo edificio si presentava in linee neoclassiche con un ampio balcone che si allungava in quasi tutta la facciata. All’interno aveva la forma classica del ferro di cavallo, con palchi, loggione e platea su progetto dell’architetto Erminio Pontremoli. Fu inaugurato il 31 luglio 1880 con l’AIDA di Giuseppe Verdi.

Il Politeama Duca di Genova
Il Politeama Duca di Genova

In poco tempo il Politeama Duca di Genova divenne il punto focale delle grandi stagioni teatrali, dalla commedia all’opera drammatica, dalla lirica alle operette, ma anche luogo di conferenze, feste, comizi e adunanze di partito.

Una rara immagine del 1929 del palco
Il palco in una rara immagine del 1929

Una rara immagine del 1929 degli interni
Una rara immagine del 1929 degli interni

La concorrenza del Politeama Duca di Genova determinò una profonda crisi nelle attività teatrali del Civico, tanto che in molti erano dell’idea di riconvertirlo ad altre funzioni e forse così sarebbe avvenuto se non fosse stato per la presenza del “Casino Civico”. Proprio per la sua accresciuta importanza, nel 1889 il Casino venne ampliato modificando anche la struttura stessa del teatro, compresa la facciata nella quale vennero allineate al corpo centrale le due parti laterali in origine più arretrate.

Il Teatro Civico dopo il rifacimento del 1889
Il Teatro Civico dopo il rifacimento del 1889

Il 17 gennaio del 1885 venne inaugurato il teatro dell’Unione Fraterna, posto all’incrocio tra via Colombo e via Duca di Genova, ora via Rosselli. Dotato della sola platea e non molto ampio, era impreziosito da una serie di affreschi di Navarrino Navarrini che occupavano le due pareti laterali e l’intero soffitto; gli affreschi sfumavano, poi, in una morbida decorazione che incorniciava il boccascena. Venne distrutto da un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale e poi ricostruito, in forma moderna, sulle rovine del precedente. Dei decori originali conserva solo un grande affresco sulla porta di entrata che rappresenta, in maniera allegorica, la città della Spezia.

Nel 1897 nelle cronache cittadine vi è traccia di un non meglio identificato Politeama Nazionale e nel 1905 di un Nuovo Politeama Sociale, mentre a Migliarina “Monte”, sempre alla fine del secolo, veniva aperto il Teatro Danese, poi ristrutturato nel 1931.

Gli inizi del novecento videro un fiorire di nuovi teatri sulla scena cittadina, ma anche l’avvento del cinematografo. Alcuni teatri si attrezzarono per accogliere questa nuova forma di spettacolo, il Teatro Civico ad esempio, ma la prima sala nata appositamente per le proiezioni fu il Salone Edison, in via Di Monale 14.

La facciata del Teatro Trianon oggi
La facciata del Teatro Trianon oggi
Nel 1913 Felicita Vicchi fece costruire in via Manzoni, su progetto dell’architetto Vincenzo Bacigalupi, un incantevole teatrino che prese il nome di Trianon con lo scopo di favorire la carriera dei suoi due figli, entrambi dediti allo spettacolo. Dotato di platea, gallerie e barcacce, era ornato da statue del giovanissimo scultore Augusto Magli e da decorazioni di Vittorio Giorgi. Questo piccolo teatro, ricco di stucchi e arredato con gran classe, divenne ben presto il centro del futurismo spezzino, tanto che di qui passò anche Filippo Tommaso Marinetti. Il Trianon rimase aperto con alterne fortune sino al 1925, prendendo anche il nome di Teatro Rinaldi, poi venne trasformato in cinematografo con il nome di Cinema Teatro Centrale, per essere poi chiuso definitivamente negli anni trenta.

Dal 1946 i locali vennero utilizzati da un’autorimessa, ma alcuni fregi sono ancora visibili sia sulla facciata del palazzo che negli interni, nonostante una rampa ne abbia danneggiato irrimediabilmente una parte. Da alcuni anni, grazie all’interesse di alcuni volenterosi, periodicamente il Trianon viene riaperto per ospitare mostre, convegni e spettacoli teatrali, naturalmente entro i limiti che una struttura abbandonata da così tanti anni può consentire.

Quasi contemporaneamente venne aperto il Cinema Teatro Ambrosio, che ebbe, successivamente, anche i nomi di Sala Rossi, Novecento e Moderno. Posto all’angolo tra via Roma e via Di Monale, era dotato di platea e di galleria. Il progetto in stile Liberty, con reminiscenze neo-gotiche, era stato predisposto dall’Architetto Franco Oliva che aveva affidato le decorazioni pittoriche a Cafiero Luperini e quelle plastiche ad Augusto Magli. Inaugurato il 18 settembre 1914, fu completamente distrutto da un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale.

Il Duca degli Abruzzi, poi Teatro Olimpia, costruito dai fratelli Cesare e Solferino Ricco in via XX Settembre, nei pressi di piazza Saint Bon, era un locale alquanto spoglio, dotato di platea e galleria ed ebbe una vita alquanto travagliata. Nel 1925 i fratelli Ricco finirono in fallimento e il teatro venne rilevato dalla Cassa di Risparmio della Spezia e nel 1937 passò in proprietà al Dopolavoro ferroviario. Durante la seconda guerra mondiale, venne quasi totalmente distrutto da un bombardamento aereo. Al termine della guerra venne ricostruito privo di palcoscenico e venne adibito, con il nome di Smeraldo, quasi esclusivamente a spettacoli cinematografici.

Subito dopo la guerra i fratelli Giulio e Virgilio Cozzani diedero incarico all'Architetto Franco Oliva di progettare un cinema teatro in un edificio di loro proprietà. L’opera venne completata nel 1920 e venne inaugurata con un concerto di beneficenza in favore dei terremotati di Fivizzano.


Il Cozzani
Il Cozzani da via De Nobili

Realizzato in stile liberty, il Cinema Teatro Cozzani era impreziosito all’interno dagli affreschi di Luigi Agretti, 92 figure umane, angeli ed animali, tra i quali, proprio sopra il palcoscenico, otto cavalli al galoppo.

Gli interni, impreziositi dai decori degli scultori Augusto Magli e Angiolo Del Santo e da lampade e lampadari in stile liberty, erano un vero gioiello e persino la feritoia di proiezione e gli spioncini per l'operatore erano finemente decorati. Ancora oggi che è stato trasformato in “Sala Bingo”, sono presenti all'esterno del’ex Cinema Teatro Cozzani, soprattutto su via Raffaele De Nobili e via Roma, fregi, maschere e putti di splendida fattura.

E’ del 1923 l’apertura dell’Arena Principe Umberto, un teatro all’aperto in via dello Zampino dedicato a spettacoli di varietà e proiezioni cinematografiche. L’area venne poi acquistata da Luigi Monteverdi che vi costruì l’omonimo teatro su progetto dell’architetto Olinto Zanazzo, una sala enorme, capace di 3.000 posti a sedere, con 74 palchi suddivisi in 3 ordini, 3 gallerie ed un loggione. Le decorazioni interne ed esterne erano opera dello scultore spezzino Enrico Carmassi. Lungo via dello Zampino, dove si apriva l’ingresso, sopra ognuna delle 5 porte vi erano altrettanti putti allegorici e 4 statue di muse appoggiate su mensole delle quali ne sono sopravvissute soltanto due. Il palco del Teatro Monteverdi, negli oltre cinquanta anni di attività, fu meta delle migliori compagnie teatrali e di grandissimi artisti come Emilio Bione, baritono spezzino, e in tempi più recenti, Macario, Totò, Alberto Sordi, e poi cantanti come Nilla Pizzi, Achille Togliani, Giacomo Rondinella, Claudio Villa e ancora mostri sacri del jazz, come Duke Ellington e Louis Amstrong. Su quel palco si disputarono anche incontri di pugilato e vi si tenne il 1° festival della canzone dedicato ai bambini organizzato e presentato il 30 aprile del 1958 da Padre Dionisio del “Sorriso Francescano”. Il teatro venne definitivamente chiuso il 19 marzo del 1979.

Nel 1932 il Teatro Civico venne demolito e rifatto dalle fondamenta su progetto dell'architetto Franco Oliva ed il 4 febbraio 1933 venne inaugurato con la rappresentazione di Tosca cantata dal soprano Bianca Scacciati. il Civico riprese il predominio tra i teatri cittadini anche per via della decisione di demolire il Politeama Duca di Genova che intralciava per la sua posizione il progetto di allargamento della città ad est. L’appalto “a trattativa privata dei lavori di demolizione con diritto di proprietà dei materiali di recupero” venne aggiudicato il 07.08.1933 alla Impresa Società Anonima Ing. Nino Ferrari & C. “per il prezzo a forfait di lire 25.000 a favore del Comune” e l’abbattimento avvenne in meno di 2 mesi. L’ultimo spettacolo andò in scena il 23 luglio 1933 con la Compagnia Dialettale Genovese di Rosetta Mazzi.

I bombardamenti della seconda guerra mondiale danneggiarono molte sale, alcune irrimediabilmente, come il Salone Edison e il Cinema Teatro Ambrosio.

La ricostruzione del dopoguerra ci regalò un nuovo teatro, il cinema teatro Astra, in via Veneto, tra via Costantini e via Crispi oltre ad un numeroso gruppo di cinematografi, molti posti nel centro storico, come il Marconi, l’Odeon, il Diana, altri di quartiere, come il Garibaldi, il Palmaria, altri ancora di oratorio, come il Candor e il Don Bosco.

Negli anni dai cinquanta fino ai settanta operavano in città 4 teatri, seppur nessuno a tempo pieno: il Civico era destinato alla commedia classica ed alla musica colta, l’Astra alla commedia leggera e all’operetta, il Cozzani alla commedia leggera, il Monteverdi al varietà, alla musica leggera e al… pugilato!

Ad uno ad uno, tranne il Civico, chiusero i battenti.

Il Monteverdi chiuse il 19 marzo del 1979 e dopo anni di abbandono sta per essere riconvertito in un parcheggio multipiano, l’Astra chiuse negli anni ottanta ed al suo posto è presente da ottobre del 2005 un supermercato Basko, il Cozzani chiuse negli anni ottanta e al suo posto dal 2002 è presente una Sala Bingo.

La vita è una ruota che gira e alla fine tutto torna al punto di partenza: avevamo un teatro nel 1798 e uno ne abbiamo nel 2010.

E’ bello constatare però che il tempo a Spezia non passa mai.


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domenica 11 aprile 2010

L’evaporazione dei campi di calcio

Una volta Spezia abbondava di campi e campetti di calcio, luogo di aggregazione, di divertimento e di attività fisica di bambini, adolescenti, ragazzi e di “sempre giovani”.

Fatta eccezione per il centro storico, dove esisteva e probabilmente esiste ancora il campetto a 5 dell’Oratorio Don Bosco in viale Garibaldi (in cemento!), ogni quartiere, ne aveva almeno uno.

Chiamarli “campi di calcio” è forse un po’ pretenzioso, visto che erano praticamente tutti in terra battuta e scarsamente regolamentari: pali tondi o quadrati, reti per lo più da pesca adattate alla bisogna, dimensioni fantasiose, superfici non sempre pianeggianti.

Ricordo che i portieri erano terrorizzati dal Cerulli che si diceva avesse porte più larghe del normale e che al Tanca l’area di rigore non distava più di 2 metri dalla linea laterale.

La massima concentrazione di campi e campetti si aveva tra i quartieri di Mazzetta e Migliarina dove se ne contavano cinque.


Il Tanca e lo scomparso Cerulli

Il "Tanca" ed lo scomparso "Cerulli"

Oltre al Tanca, ancora esistente, seppure ruotato rispetto alla disposizione d'un tempo, c’era il Cerulli posto su via Lunigiana dal lato opposto al Tanca e stretto tra il parcheggio degli autobus (dal quale derivava il soprannome di SITA) e la massicciata della ferrovia ed il campo del Mazzetta, in via Padre Giuliani dove ora inizia via Parma che in origine si sviluppava parallelamente alla strada, poi perpendicolarmente.

All’interno dell’Oratorio dei Domenicani, in via Veneto, dove ora c’è un unico campo a 11 di dimensioni un po’ ridotte, c’erano due campi a 7.


Il campo scomparso di Mazzetta

Il campo scomparso di Mazzetta

Tra La Pianta ed il Canaletto c’erano due campi a 7. Il primo si raggiungeva deviando da via del Canaletto in una stradina pedonale con tanto di ponticello sul Dorgia (forse l’attuale via Bragarina) e sbucando in un tratto di aperta campagna dove ora c’è appunto il quartiere di Bragarina; il secondo si trovava affianco al vecchio Oratorio del Canaletto quando sorgeva in corso Nazionale e si raggiungeva scendendo una scaletta. L’Oratorio ed il campo di calcio successivamente vennero spostati in via Palmaria dove, fortunatamente, sono sopravissuti fino ad oggi. A Fossamastra c’era il campo dell’ENEL sacrificato in questi ultimi anni alla costruzione della darsena. Anche Valdellora aveva il suo campo in via Volta. Nella parte a nordest della città sopravvivono solo il campo di Montepertico e i due campi, a 11 e a 7, della Pieve.

Spostandoci a nordovest, campo storico era quello del XXI° posto su via Aldo Ferrari all’altezza dell’incrocio con viale Amendola dove è ora il complesso scolastico del “2 giugno”.


Il glorioso campo del XXI°

Il glorioso campo del XXI°

Un po’ più a nord sono ancora presenti il campo di Rebocco al termine di viale Alpi, quello del Dopolavoro Ferroviario, in via Fossitermi dal lato della ferrovia e quello della Chiappa in via Arzelà, mentre ad est, lungo la costa verso Portovenere, quello di Marola.

Naturalmente sono stati costruiti altri campi, il Ferdeghini ad esempio e il campo delle Pianazze entrambi a ridosso dell’autostrada, ma il saldo è sempre fortemente negativo.

Dei 18 campi e campetti esistenti negli anni sessanta e settanta, Picco escluso, ne sopravvivono solo 13, sacrificati quasi tutti alla costruzione di nuove case di civile abitazione.

Spezia deve essere l’unica città al mondo in cui, via via che decresce la popolazione (nel 1971 nel comune capoluogo eravamo quasi 125.000, nel 2008 poco più di 95.000), si costruiscono nuove case: uno dei misteri misteriosi della nostra città


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domenica 28 marzo 2010

I Baracconi

Ai primi di novembre via 24 Maggio si animava. Negli anni sessanta era ancora a doppio senso di marcia e, nel tratto compreso tra via Doria e via Pascoli, dopo due sole gocce d’acqua, la strada diventava un vero e proprio acquitrino.

I primi carri arrivavano di sera e parcheggiavano nell’area sterrata che era dietro al distributore della Mobil, più o meno dov’è ora la Banca Toscana. Di prima mattina entravano nello spiazzo dell’attuale piazzale Kennedy dal varco che era posto in via Doria e cominciavano a prendere posto nei luoghi loro assegnati. Era uno spettacolo vederli aprirsi come ombrelli e trasformarsi in piste, giostre, pagode e stand in pochissime ore.

In un giorno o due tutto era pronto ed il Luna Park dei Viotto, anzi i “Baracconi”, iniziavano a vivere. Suoni, luci, musica riempivano il quartiere: Mazzetta diventava il polo di attrazione di tutta la città.

Appena si entrava si era investiti da quell’odore caratteristico di torrone e zucchero filato, misto a polvere e metallo che rimane indelebile nei ricordi.
La pesca del cigno
La pesca del cigno

E poi i colori fantasmagorici, i suoni aggressivi precursori di quelli dei videogiochi, le luci abbaglianti, le grida dagli altoparlanti che chiamavano “altro giro, altra corsa”, le risate ed i pianti dei bambini, le urla e gli sfottò dei grandi.

Il Calcinculo
Il Calcinculo

E le code alle attrazioni più ambite, l’autoscontro, l’ottovolante, il pubblico col naso all’insù ad osservare quei pazzi che roteavano nel vuoto scommettendo su chi sarebbe riuscito, facendosi lanciare il seggiolino da chi stava dietro, a raggiungere e strappare dal suo supporto la quasi irraggiungibile coda di volpe al calcinculo per vincere un giro gratuito, e le battaglie spaziali su quelle improbabili astronavi che scendevano ad una ad una colpite dagli avversari finché non ne rimaneva una sola lassù, sospesa in cielo.

Ed il pungiball, la pesca miracolosa, il tirassegno ed il tiro ai barattoli, i flipper rigorosamente meccanici, il castello fantasma e gli specchi deformanti. Ma il fascino assoluto i “Baracconi” per me lo raggiungevano alla mattina, con gli stand chiusi e neppure un’anima viva, in quell’atmosfera grigia e umida dell’inverno spezzino, le luci spente ed il silenzio, solo alcuni gestori delle attrazioni impegnati nelle pulizie e nella manutenzione. Davo una mano a lucidare i vetri dei flipper e mi guadagnavo la mia ora di gioco gratuito tra le decine di attrazioni della sala giochi, aiutavo a sistemare i bersagli e scroccavo qualche tiro col fucile ad aria compressa. Ma il massimo lo raggiunsi quando mi feci amico il gestore dell’autoscontro aiutandolo a parcheggiare le vetture in fila dal lato della pista più vicina alla cassa e a recuperare i gettoni che clienti distratti avevano seminato attorno allo stand.


L'autoscontro
L'autoscontro

La ricompensa era la magica chiave che, infilata nella fessura, dava l’opportunità di guidare una vettura in una pista vuota e silenziosa.

In quei momenti mi sentivo il padrone assoluto dei “Baracconi”.


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martedì 23 marzo 2010

Panchine spezzine

Ci sono dei particolari, anche minimi, che caratterizzano una città, che la differenziano dalle altre. Roma ha i sampietrini, Milano i navigli, Genova i carruggi.

Spezia, nel suo piccolo, aveva le panchine, queste panchine.


La tipica panchina spezzinaLa tipica panchina spezzina

Naturalmente una panchina è solo una panchina e quindi non è degna di grande considerazione, ma la panchina tipica spezzina forse un po’ di attenzione la meriterebbe, con quello stile liberty, quella struttura che ricorda il tralcio di un albero, nodi compresi.

Un particolare
Particolare
Un altro particolare
Un altro particolare

Non è una panchina comoda, con quelle linee diritte e la foggia in metallo, fredda d’inverno e calda d’estate, ed è anche un po’ bassa rispetto agli standard odierni, ma fa parte dell’arredo urbano, nasce con la città, nel momento stesso in cui il borgo diventa una località degna di nota, e si espande, con la città, in ogni quartiere.


Panchina in Piazza Chiodo nel 1900Piazza Chiodo 1900


Panchina nei Giardini Pubblici nel 1920 Giardini Pubblici 1920


Panchina nei Giardini Pubblici nel 1930
Giardini Pubblici 1930

Fino agli anni sessanta era praticamente l’unica panchina che conoscevano i fondoschiena degli spezzini, era presente ovunque, poi, col passare del tempo, qualcuna si deteriora, l’incuria, il vandalismo, e viene sostituita da altre anonime panchine di metallo generalmente verdi, ma anche rosse e gialle, alcune vengono rimosse per lavori di asfaltatura e mai più risistemate. Poi inizia l’era di quelle di plastica.


Panchina sulla Passeggiata Morin nel 1935 Passeggiata Morin 1935


Panchina sulla Passeggiata Morin nel 1950Passeggiata Morin 1950

Uno dei simboli della città , come molti altri, che spariscono per via della scarsa attenzione che i nostri amministratori e noi stessi poniamo alle cose del passato seguendo lo slogan “è vecchio, buttiamolo” che sembra la parola d’ordine di questa città.


La versione rotonda della panchina spezzina La versione rotonda

Oggi ne rimangono poche, per lo più concentrate nel “Boschetto”, quella parte dei giardini pubblici che va da via Diaz a via Galilei attorno al Palco della Musica.

Eppure non ci vorrebbe molto a risistemarle, basterebbe riprendere il calco della struttura e farla replicare in una delle fonderie della provincia, il resto della struttura è elettrosaldata.

Chissà se qualcuno raccoglierà l’idea.


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sabato 13 marzo 2010

Arrivano i Pelle Rossa!

Spezia, città di mare, era certamente abituata ad accogliere persone di altre etnie, ma gli spezzini i Pelle Rossa non li avevano mai incontrati fino a quel giorno di marzo del 1906 in cui arrivò il Buffalo Bill Wild West Show di William Cody.

William Frederick Cody nacque in una fattoria dell'Iowa nel 1846, ma si trasferì ben presto in Kansas con la famiglia. All'età di quattordici anni divenne uno dei corrieri a cavallo del Pony Express, un servizio di trasporto a cavallo della posta, per il quale si alternavano, come in una staffetta, vari cavallerizzi. Nel 1863 si arruolò nel 7° Cavalleggeri del Kansas e prese parte alla Guerra di Secessione americana con gli stati dell'Unione. Dopo la fine della guerra e fino al 1872, venne impiegato come guida civile dall'esercito statunitense e dalla Pacific Railway. William Cody detto Buffalo Bill
William Frederick Cody

La leggenda vuole che il soprannome di Buffalo Bill derivi dal fatto che tra il 1868 ed il 1872, per rifornire di carne gli operai addetti alla costruzione della ferrovia, abbia ucciso circa 4.000 bisonti. Nel 1873 Ned Buntline, uno scrittore popolare che aveva creato diversi racconti che narravano le gesta di Buffalo Bill, gli chiese di interpretare una versione teatrale delle sue novelle. Accettò di fare l'attore per undici stagioni consecutive e nel 1883 creò il Buffalo Bill Wild West Show, uno spettacolo circense in cui venivano ricreate rappresentazioni western, fra cui la battaglia di Little Big Horn, dove perse la vita il Generale Custer. Tra i protagonisti dello spettacolo negli anni si alternarono personaggi famosi dell’epopea western, come il capo indiano Toro Seduto, Calamity Jane, Wild Bill Hickock e l’infallibile tiratrice Annie Oakley.


Il Buffalo Bill Wild West Show
Il Buffalo Bill Wild West Show

Il Buffalo Bill Wild West Show sbarcò per tre volte in Europa, nel 1887, nel 1890 e nel 1906 e fu proprio in quest’ultimo anno che lo spettacolo fece tappa nella nostra città.

Come è facile intuire, l’attesa per l’evento in città fu notevole ed i giornali cittadini non fecero che accrescerla.


Domani Buffalo Bill ci offre il più grande fra gli spettacoli che Spezia dal suo sorgere ha potuto ammirare, ed è tanta l’attesa della cittadinanza, dopo l’indiscusso successo ottenuto da questi a Genova, che noi siamo convinti, alle due rappresentazioni del Wild West il concorso del pubblico sarà grandissimo.

Ne inferiore sarà l’interesse per l’arrivo della Compagnia sui quattro treni speciali della lunghezza complessiva di un kilometro circa che avrà luogo nelle prime ore del mattino. Immediatamente sarà effettuato lo sbarco dei materiali che verranno trasportati in Piazza d’Armi da oltre 40 appositi carri, ed in breve tempo, come per incanto, sorgerà l’immenso circo.

E’ pressoché inutile tentare di enumerare tutte le parti interessanti del Wild West. Il personaggio più in vista è, beninteso, il colonnello W. F. Cody (Buffalo Bill) il quale conduce alla nostra soglia una ricchezza di interesse umano che diviene necessaria nei centri di civiltà, specialmente alla nostra epoca in cui le comunicazioni sono divenute così facili.

(Libera Parola del 16 marzo 1906)

E ancora:
Da "Libera Parola" del 20 marzo 1906

Durante la pioggia, per quanto violenta essa sia, le rappresentazioni di Buffalo Bill continuano senza interruzioni. Gli uomini arditi, i cavalieri coraggiosi, sembrano rallegrarsi nel pericolo; nulla viene ritardato o evitato: vigore, bravura e coraggio si disputano la dignità con la natura irata, con i più feroci attacchi di vento, di grandine, di pioggia. Il pubblico è ben riparato da tende impermeabili: il cattivo tempo non deve perciò trattenerlo dal visitare il Wild West. E’ l’ultima opportunità, è una festa.

Tre motori elettrici dello stile più moderno, delle macchine a vapore delle più perfezionate, forniscono l’energia d’illuminazione del «Wild West». La rappresentazione della sera è data con tutti i dettagli di quella del giorno.

Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Roma, New-York, Vienna, tutte le capitali d’Europa e d’America, come anche migliaia di altre città , hanno ricevuto con entusiasmo ed applaudito «Buffalo Bill» ed il suo Congresso di Rough Riders che ora ha assunto anche più vaste proporzioni, E’ un’istruzione che non si dimenticherà più: è insieme una lezione ed un divertimento.

(La Gazzetta della Spezia del 17 marzo 1906)

I prezzi variavano da 1,20 lire per i posti a sedere di seconda serie alle 6 lire per i palchi. La città venne tappezzata di manifesti che promettevano uno "spettacolo unico e senza rivale di Cavalieri indigeni, d’Europa, Asia Africa ed America, delle Montagne del Caucaso, delle Steppe della Russia, dei Deserti Africani, delle Cordigliere Messicane, delle Ande e delle Montagne Rocciose. (…) Il vasto circolo all’aperto permette di rappresentare, nel corso di un meraviglioso programma, un affascinante e colossale spettacolo, scene di combattimento e di strage di una guerra selvaggia, nella quale figurano 800 Indiani, Esploratori, Soldati e Cavalli: la «Battaglia di Little Big Horn» che termina col famoso quadro, apoteosi dell’ultima difesa di Custer e sua fine eroica. 100 Indiani Americani, Capi, Guerrieri, Donne e Fanciulli”.


Nello spettacolo ogni comparsa aveva ben chiaro il proprio ruolo, recitava sempre la stessa parte: cowboys che domavano cavalli selvaggi o si esibivano con i loro lazos, pistoleri che inscenavano duelli o che centravano bersagli impossibili ed indiani che simulavano sanguinosi assalti alle diligenze finendo però immancabilmente per essere sconfitti. Inoltre Buffalo Bill introdusse nel suo show la rievocazione del Pony Express. Ed ancora sfilate di guerrieri provenienti da tutte le parti del mondo nei loro costumi tradizionali e cavalieri lanciati al galoppo. Lo show terminava invariabilmente con una drammatica rievocazione della sconfitta del generale Custer a Little Big Horn in cui lo stesso Cody interpretava il ruolo del generale.

Purtroppo per gli spezzini la tourné europea del 1906, organizzata più che altro per ripianare i debiti di Cody, fu piuttosto mediocre. Protagonisti di scarso richiamo, comparse non all’altezza e lo stesso William Cody che, acciaccato dai reumatismi, ridusse al minimo le consuete evoluzioni in sella.
Il manifesto dell'evento
Questo era uno dei manifesti

Le sperticate celebrazioni dello spettacolo alla sua vigilia da parte dei giornalisti locali si tramutarono in velenosi giudizi il giorno successivo.


Un gruppo di comparse del Buffalo Bill Wild West Show
Un gruppo di comparse

Buffalo Bill, - annunziato con colpi di gran cassa e di cannone sempre più intensi e sbalorditivi – aveva fatto tappezzare le vie anche più remote della città, le vetrine e le porte dei negozi con manifesti sesquipedali in cromo-litografia, sui quali si leggeva come la troupe comandata dal Colonnello Cody si componesse di 800 uomini e 500 cavalli, i quali ultimi si videro poscia ridotti ad un’ottantina di esili ronzini degni dei modesti Circhi che menano tanto scalpore alle fiere dei villaggi.

Ci si assicura poi che fra i sedicenti Cosacchi siano stati riconosciuti tre individui nativi di Licciana (…).

Anche quella delle Pelli Rosse, si può dire una mistificazione. Se ne togli qualcuna autentica, le altre, salvo la pitturazione del ceffo, si direbbero pelli storte Europee (…)

Di quanto era stato annunciato, non abbiamo veduto che una minima parte, di nessun effetto sensazionale. Abbiamo udito delle grida stridule, come ululati di belve affamate, che offendono l’organo acustico. In complesso, una sconveniente parodia, che fa rimpiangere i denari spesi.

(Gazzetta della Spezia del 24 marzo 1906)


Qualche fischio isolato dimostrò come il pubblico fosse indignato per questa enorme turlupinatura, e tutti lo erano effettivamente., (…) Il pubblico aveva ragione, poiché lo spettacolo mancava precisamente di quei numeri coreografici interessanti e di quelle caccie di cavalli e bufali veramente selvaggi e non addomesticati, che lo avrebbero potuto divertire.

La turlupinatura fu adunque compiuta con la massima sfacciataggine, ma ciò non impedì che un pubblico numerosissimo accorresse alla sera alla seconda rappresentazione. (…)

Alla sera alle dieci e mezzo terminò la seconda rappresentazione, alle undici e mezza non vi era più in Piazza d’Armi né un palo né una tela, e tutto era già caricato sui rispettivi vagoni. Fu questo e quello della mattina il miglior spettacolo.

(Libera Parola del 23 marzo 1906)


Buffalo Bill e una comparsa in una pausa dello spettacolo
Buffalo Bill e una comparsa in una pausa dello spettacolo

Chi deve ringraziare Buffalo Bill della sua visita alla nostra città, sono quelli che per recarsi al grandioso spettacolo, tra l’immensa folla che si assiepava fra i carrozzoni adibiti alla vendita dei biglietti furono borseggiati e non di poco. Fra questi registriamo il sig. Domenico Portunato al quale fu rubato il portafogli contenente 900 lire. Anche il farmacista di Fivizzano sig. Clamente Giuseppe fu derubato entro il recinto di 600 lire, ed i signori Paita Alessandro di 75 lire, Maggiani Stefano L. 10. Buffalo Bill a questi signori è costato caro, perdio.

(Libera Parola del 23 marzo 1906)

E fu così che gli spezzini riuscirono a smitizzare persino Buffalo Bill.


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venerdì 5 marzo 2010

La grotta della Madonna di Rebocco

A Spezia c’è persino una grotta!
Si tratta della Grotta della Madonna di Rebocco.

Il suo nome è legato alla forma di una grande stalagmite che ricorda una Madonna con il bambino. Non ci sono molte notizie in rete su questo piccolo gioiello, qualcosa di più si può trovare nelle guide specializzate in turismo sotterraneo.

A Rebocco, piccolo lembo di terra sulle alture della Spezia, v'è una grotta che si apre a guisa di salone vastissimo e profondo. Intorno, in ogni piccolo angolo, sotto le più svariate forme di piante, di canne d'organo, di profili umani, di cortinaggi e di finissime trine, stanno a migliaia le stalattiti. Ma quello che colpisce di più è una colossale stalammite di oltre cinque metri di altezza, sorgente al centro della grotta e di una bellezza meravigliosa: i suoi contorni richiamano subito all'idea la figura dolcissima di una mistica madonna velata con su le braccia il frutto della Maternità e ai piedi la superba e selvaggia testa di un leone soggiogato da tanta dolcezza. E nei vani minori, tutti fregiati, il tempo ha fatto nascere figure di angeli, di aquile e di colombe. Alla grotta, chiamata Grotta di Venere o della Madonna, si scende oggi con una minuscola scala. Da una sorgente, giù nel fondo, sgorga in gran copia e limpida l'acqua freschissima; sempre lo stillicidio continua incessante la sua opera lenta e paziente, l'opera che in ottomila anni ha saputo formare la stalammite centrale. La Madonnina è la sotto il velo col quale ha forse voluto nascondere il suo dolore accorato nel giorno in cui il primo uomo penetrò in quel recinto. (da Grotte d’Italia del 1932)


La scoperta della grotta, fu fatta dal proprietario della cava di pietra che si trovava in quella zona e risale al 1912. Un ventennio dopo la grotta ottenne la tutela dalla Soprintendenza ai monumenti della città e venne dichiarata luogo di notevole interesse pubblico dal Ministero dell'Educazione Nazionale.

Dalla "Rassegna Municipale" del 1931

Gli amministratori dell’epoca pensarono subito di farla diventare un’attrazione turistica e si impegnarono a stanziare i fondi per realizzare tutte le opere necessarie per renderla visitabile, creando una galleria di ingresso al termine della quale, attraverso una piccola scala in ferro, si poteva accedere alla grande sala. Da qui, attraverso un passaggio scavato nella roccia, si raggiungeva la stalagmite posta quasi al centro della sala e chiamata, per la sua forma, la Madonna della Grotta. La parte più bassa della grotta era occupata da un lago.


L'interno della grotta della Madonna di Rebocco
Una rara immagine dell'interno

Negli anni cinquanta i bambini delle scuole elementari venivano accompagnati in gita alla grotta, la visita doveva essere prenotata con discreto anticipo perché il numero dei visitatori era alto, all’ingresso si trovava la biglietteria comunale.

Fino alla fine degli anni sessanta la grotta era ancora visitabile, ma nel 1973 fu definitivamente chiusa per problemi di sicurezza.

Nel 1998 risulta stanziato un contributo regionale per i lavori di consolidamento grotta della Madonna in località Rebocco di €10.329 (Tratto dalla Pronuncia n. 61/2007 della Corte dei Conti)

Oggi, nonostante risulti sottoposta ai vincoli in materia di beni culturali ed ambientali con il nome di Grotta della Madonna alla Maggiola, è in stato di degrado e sconosciuta alla maggioranza degli Spezzini, un lontano ricordo d’infanzia per chi ha avuto la fortuna di visitarla.



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domenica 28 febbraio 2010

Storia - L'Ottocento

Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, le potenze europee vollero ripristinare gli Stati nei loro vecchi confini (il periodo storico è quello conosciuto come Restaurazione). Il Congresso di Vienna fece però un’eccezione per la Liguria annettendola al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele I: Spezia divenne sede dell'Intendenza della Provincia di Levante.

Dopo la Restaurazione, mentre molti conventi vennero restituiti agli ordini religiosi, quello di S. Francesco da Paola mantenne la sua destinazione ospedaliera ed assunse la nuova denominazione di Ospedale di Sant'Andrea.

I Piemontesi arrivati nel Golfo diedero il via ad una modesta fase di sviluppo come località di villeggiatura balneare prima e come centro marittimo poi.

Nel 1823 venne costruita la strada carrozzabile che collegava Genova a Sestri Levante e da qui, attraverso il Bracco, giungeva a Spezia, rompendo l’isolamento del Borgo.

Per tutto l’ottocento Spezia ebbe un carattere principalmente turistico e fu spesso meta delle vacanze dei Savoia e del Re, che alloggiava presso il Grand Hotel d'Italie (poi divenuto Hotel Reale Croce di Malta, poi sede del Banco di Napoli ed oggi proprietà della Fondazione Carispe), all’epoca direttamente prospiciente il mare.

Il Grand Hotel, costruito nel 1845, era completato da due edifici laterali che ospitavano le scuderie ed i bagni di mare salati al coperto.


L'Hotel Reale Croce di Malta
L'Hotel Reale Croce di Malta nel 1869

Poco distante dal Grand Hotel d'Italie, verso l’Arsenale, erano sorti i Giardini Pubblici, divisi in due zone ben distinte: il Boschetto al cui interno nel 1913, verrà collocato il Palco della Musica, vero gioiello liberty, e l’ampio giardino all’italiana, con piante decorative sempreverdi. Il lungomare era spiaggia!

Lungo la costa si potevano scorgere diversi stabilimenti balneari costruiti seconda la moda ottocentesca ovvero su palafitte poste in mezzo al mare e collegate alla terraferma mediante passerelle. La ricchezza dei locali e dei servizi ne determinava la clientela a cui erano destinati.


Lo stabilimento balneare Iride
Lo stabilimento balneare Iride

Nel 1823 la città divenne capoluogo e nel 1846 venne inaugurato il Teatro Civico con la rappresentazione dell'Ernani di Giuseppe Verdi.


Il teatro Civico nel 1850
Il Teatro Civico

Così George Sand descriveva la costa nel 1855:

Grandi acquitrini, in parte coltivati, si stendono tra la Spezia e le rocce coperte di pini che, con le loro radici, arrivano fino alla riva del mare...


E così veniva descritta la città nel 1857 sulla Guida storico-statistica monumentale dell'Italia e delle isole di Sicilia:

Dalla città vedesi non solo tutto il golfo, ma ancora tutta la catena di montagne che cinge il mare, ed anche Livorno. La chiesa di S. Maria, eretta nel 1550, contiene buone pitture, fra cui uno splendido quadro di G.B. Casone. Questa città ha bagni assai frequentati, un recente ed elegante Teatro e varj istituti di pubblica beneficenza. A qualche distanza dalla sponda del mare vi è una sorgente che spicca con forza un getto d'acqua dolce. Numerose case di campagna, abbondanti piantagioni d'alberi fruttiferi, olivi, ec., rendono i contorni della Spezia assai aggradevoli.


Ma l’appena germogliata vocazione turistica di Spezia durò pochissimo.

Nel 1849 il Governo piemontese prese la decisione di costruire a Spezia un arsenale militare e di spostarvi la flotta di stanza a Genova per poter sviluppare meglio il porto mercantile nel capoluogo. Questa decisione segnerà, nel bene e nel male, lo sviluppo successivo e l’aspetto attuale della città.

I lavori presero inizio subito dopo l’Unità d’Italia e durarono sette anni, dal 1862 al 1869. Un cantiere enorme che attirò manodopera da tutte le parti d’Italia: la città, che nel 1861, alla proclamazione del Regno d'Italia, assommava a poco più di 15.000 persone, vedrà aumentare rapidamente la sua popolazione e in soli dieci anni supererà le 26.000 unità.

La costruzione dell'Arsenale Militare, che andrà ad occupare tutto il lato a ponente della baia di Spezia, costringerà la città a svilupparsi prima verso nord e verso sud e successivamente verso est.

Il mare, ancora nel 1840, giungeva all’altezza dell’attuale via Don Minzoni. Tutta la parte della città e dei giardini che oggi conosciamo venne sottratta al mare attraverso opere di riempimento completate negli anni successivi utilizzando il materiale di scavo dei bacini e dei fondali dell’Arsenale: a poco a poco la città si estese lungo tutta la piana compresa fra viale Amendola ed il Colle dei Cappuccini.


Il viale della banchina
Viale della Banchina

L'antico collegamento per Portovenere venne spostato più a nord, in corrispondenza dell'attuale viale Garibaldi che all’epoca si chiamava Via Militare. Anche il percorso del Lagora venne modificato e tramutato nel grande fossato che cinge ora tutto l'impianto militare ovvero la zona dell’Arsenale vero e proprio, e quelle di Piazza D'Armi e dell’Ospedale militare.

A fianco del Lagora venne costruito un lungo viale che terminava a nord contro il prospetto della Caserma del XXI Reggimento di Fanteria a separare la parte militare da quella civile della città, viale di Circonvallazione, poi viale Savoia ed ora viale Amendola.

I progetti prevedevano sostanzialmente le aggiunte di due quartieri: uno a nord, compreso fra la via Militare e le mura settentrionali dell'antica città, che si erano allargate rispetto a quelle del quattrocento, e l'altro verso il mare. I due assi di sviluppo della parte non militare della città vennero individuati in via Chiodo e Corso Cavour.

Via Chiodo, che rappresentava il legame fra la città e l'Arsenale, si apriva con la piazza omonima, accesso principale all'Arsenale militare, e si chiudeva contro la facciata del Politeama Duca di Genova, costruito nel 1880 al centro dell’attuale piazza Verdi.


Il Politeama Duca di Genova
Il Politeama Duca di Genova al centro di piazza Verdi

Lungo tutto il suo percorso o nelle immediate vicinanze, apriranno e chiuderanno diversi Hotel, segno della vocazione ancora in bilico della città: dove ora è l’ammiragliato c’era l'albergo Città di Milano poi trasferito nel vicino Palazzo Doria con il nome di Gran hotel de la ville de Milan, all'angolo di Via Chiodo con Via Prione c’era l’Hotel Grande Bretagne, poco lontano l’albergo Italia, poi il Grand Hotel d'Italie, in seguito divenuto Hotel Reale Croce di Malta.

Mentre per la creazione di via Chiodo, in origine chiamata via Vittorio Emanuele, non furono necessarie particolari opere attraversando solo campi coltivati e acquitrini, per rendere rettilineo corso Cavour fu necessario procedere alla demolizione degli antichi edifici che fiancheggiavano i numerosi carugi e della parte occidentale dell'antico Palazzo dei Biassa, nobile famiglia locale che ebbe il suo momento di massimo splendore all’epoca di Baldassarre, comandante della flotta pontificia, nel XVI secolo.



Il tracciato di Corso Cavour nella città antica

L’afflusso di così tanta manodopera ed i motivi igienici e di salute pubblica che implicava indusse il ministro della Marina Simone Pacoret de Saint Bon a far progettare la costruzione di alloggi per almeno mille famiglie operaie, ma la proposta venne accantonata.

Nel 1874 venne realizzata la linea ferroviaria e la stazione passeggeri di Valdellora. La stazione centrale verrà aperta nel 1887 e nel 1892 verrà completato il collegamento con Parma.

Attorno al 1884 la popolazione arrivò a superare i 36.000 abitanti ed in quello stesso anno fu colpita da una pesante epidemia di colera. Il cinquecentesco convento delle Clarisse, poco a sud del Castello di San Giorgio, che nel 1880 era divenuto sede distaccata dell'Ospedale Sant'Andrea, durante l'epidemia che colpì la città, ospitò gli ammalati di colera prendendo il nome di Lazzaretto.

Le autorità si resero conto che la mancanza di fognature, l'inadeguatezza della rete idrica, il sovraffollamento avevano reso indifferibile la realizzazione del progetto di Saint Bon della costruzione di un quartiere operaio più a nord, il quartiere Umbertino. I lavori durarono dal marzo 1886 al maggio 1890, il disegno quello tipico torinese con palazzine affiancate ed intervallate da un costruzione più bassa per mantenere sulla strada la continuità dei negozi e, contemporaneamente, permettere l'affaccio degli appartamenti su tutti i lati della costruzione. Tra i blocchi delle abitazioni è sempre presente uno spazio ad uso collettivo con i lavatoi.

Intorno al 1887 vennero costruite le prime abitazioni a Migliarina.

Nella parte alta della città vecchia si completò la costruzione di Piazza Cavour e degli edifici che la delimitano. Il mercato che fino ad allora si era tenuto nelle vicinanze di piazza Beverini e cioè in piazzetta Loggia dè Banchi per la frutta e la verdura e in Piazza del Carmine, oggi parte di Piazza Cesare Battisti, per il pesce, spazi oramai inadeguati, trovò una nuova sede proprio nella nuova piazza dove vennero costruite, lato mare, due tettoie in ferro in stile liberty, quella ad est aperta e quella ad ovest chiusa che presentavano sul portale lo stemma del comune. Una delle due tettoie “resistette” fino all’anno 1969.


Le tettoie liberty di Piazza Cavour
Piazza del Mercato con le due tettoie Liberty

Il completamento dell’Arsenale e della città così come progettata dai Piemontesi fece sì che vi fosse molta manodopera disponibile sul posto. Coloro che erano immigrati anni prima, oggi avevano una casa e difficilmente se ne sarebbero andati da una città che avevano contribuito a costruire quasi dal nulla. Si pensò allora di progettare un porto mercantile da affiancare a quello militare. Nel 1890 venne realizzato il primo molo a valle del colle di San Cipriano collegato alla ferrovia che allora passava ad est dell’odierno ospedale e nel 1892 si decise di dotare la città di una rete tranviaria per i trasporti pubblici.

Fra il 1877 ed il 1904 venne rettificato il percorso della Fossa Mastra agli Stagnoni e fu realizzata la strada militare che lo fiancheggia per raggiungere il Bersaglio.

Nella valle dell’Ora (da cui Valdellora), tra il colle dei Cappuccini e quello di San Cipriano, dove fra il 1904 e il 1908 verrà eretto il nuovo ospedale, nel 1867 venne costruita l'officina del Gas e, nel 1899, la prima officina elettrica destinata all'illuminazione pubblica.

All’alba del nuovo secolo la città era un cantiere aperto.

(continua...)


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sabato 13 febbraio 2010

Le figurine

Tutti quelli della mia generazione hanno iniziato una collezione di figurine, noi maschi generalmente quella dei calciatori, ma ce n’erano di tutti i tipi, per bambini e per bambine.

Le prime figurine si compravano in edicola a 10 lire il pacchetto, ogni pacchetto ne conteneva 4, l’album generalmente, pur avendo un prezzo di copertina, veniva regalato dal giornalaio o addirittura nelle scuole (sul prezzo era stampigliata la parola “omaggio” con un timbro blu).

In quegli anni i calciatori avevano facce improbabili e maglie dagli strani colori e venivano incollate sull’album con la “Coccoina” , una colla che veniva venduta in barattolini metallici rotondi con un buco al centro che conteneva un corto pennellino.
Un album di figurine della Panini
L'album delle figurine

La Coccoina
La mitica Coccoina
La “Coccoina” aveva un odore dolciastro e sapeva di orzata (eggià, noi abbiamo mangiato di tutto, dalle matite alle gomme per cancellare, dai tappini di plastica delle biro alla carta dei quaderni e siamo ancora qui!) e, soprattutto, non finiva mai: quando incominciava a seccare, bastava aggiungere qualche goccia d’acqua, una rimestata e tornava come nuova!

Le figurine si incollavano stando bene attenti agli angoli e figurina dopo figurina gli album si deformavano assumendo le dimensioni di un volume di enciclopedia! In genere ci si incollavano anche le dita e poi si passava una buona mezzora a togliere le pellicine bianche appiccicate attorno ai polpastrelli.

Esistevano delle figurine speciali che sul retro portavano la scritta “valida” e “bisvalida” (tutto attaccato), una raccolta a punti che consentiva di vincere dei premi, con 100 punti si vinceva un pallone di cuoio!

Naturalmente nelle bustine si trovavano anche figurine che si avevano già, anzi, la maggior parte di quelle che si trovavano erano doppie ed allora si scambiavano con gli altri bambini. Si formavano dei crocchi di bambini nei cortili che, a due a due, mostravano le proprie figurine all’altro.
Una bustina di figurine Panini del campionato 1965-1966
Un bustina di figurine

Si assisteva a veri giochi di alta magia.

C’era qualche bambino che da una piccolissima tasca di un altrettanto piccolo calzone corto riusciva a tirar fuori un enorme mazzo di figurine tenuto assieme da un elastico, neppure fosse Eta Beta, toglieva l’elastico, posava il mucchio sul palmo della mano sinistra e, con un movimento veloce del pollice della mano destra, le passava sull’altro palmo mentre il bambino che osservava le figurine iniziava la litania “celò, celò, celò, celò, celò” fino a quando, all’apparire della figurina mai vista prima, erompeva nel grido “MI MANCA!”.

A quel punto, il “mazziere” con un movimento abile del pollice della mano destra spostava la figurina prescelta tra l’anulare e il mignolo della mano sinistra: altro che mago Silvan! Isolate le figurine prescelte, toccava al secondo bambino mostrare le proprie figurine ed il numero di alta prestidigitazione si ripeteva al contrario con quella tecnica oramai consolidata dalla pratica.

Alla fine rimanevano poche carte agognate nelle mani di ciascuno dei due bambini ed iniziava la contrattazione per effettuare gli scambi. Raramente gli scambi avvenivano alla pari, praticamente mai, perché ognuno vantava la maggiore rarità delle figurine che teneva nella propria mano. E allora iniziava una vera e propria sessione di “calcio mercato”:

- “ti do Pascutti se tu mi dai Meroni e Mora”

- “ma vuoi scherzare? Per Meroni e Mora mi devi dare anche Altafini oltre a Pascutti”

- “allora facciamo così: tu mi dai Meroni e Mora ed io ti do Pascutti e 10 altre figurine”

- “20!”


Su Pascutti e 15 figurine in genere ci si metteva d’accordo.
Ezio Pascutti
Ezio Pascutti

C’erano professionisti del commercio che ti dissanguavano prima di accettare uno scambio e presto si rimaneva con poche figurine nella tasca e niente soldi per andare a comprarle, anzi, quelli mancavano sempre.

E allora le figurine si provava a vincerle agli altri.

Un gioco molto praticato con le figurine era chiamato “muro”. A turno si appoggiava una figurina ad una certa altezza sul muro e poi la si lasciava cadere per terra.

Chi faceva atterrare la propria figurina sopra quella dell’avversario se ne impossessava e rimpinguava le proprie riserve di merce di scambio.

Anche a “muro” c’erano dei veri baby professionisti che sapevano come piegare in un certo modo una figurina per farla planare dritta dritta sopra quella degli altri. Io non ero tra questi e forse è per quello che non ho mai terminato un album di figurine.


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giovedì 4 febbraio 2010

Tutti al mare

Nei quasi 20 chilometri di costa che si snodano dal Muggiano a Cadimare, Spezia ha il record di non averne un solo metro balneabile! Lo hanno Savona, Imperia e persino Genova, ma Spezia nulla, bisogna ripiegare sui comuni vicini, Portovenere o Lerici, o spostarsi ad Ameglia o Marinella, quasi al confine con la Toscana o addirittura prendere il treno per accaparrarsi uno scoglio o un metro di spiaggia negli splendidi scenari delle Cinque Terre o il vaporetto per la Palmaria.

Eppure una volta non era così.

Nei primi anni sessanta io andavo al mare generalmente a San Terenzo, con la corriera, più spesso in bicicletta, ma c’era chi il bagno lo andava a fare alla Vela ovvero in viale San Bartolomeo all’altezza del Canaletto e si diceva che, fino a pochi anni prima, c’era chi il bagno lo faceva… al molo!

Sembra incredibile, eh?

Solo negli ultimi decenni il bagno nel proprio mare è stato precluso agli spezzini, in parte per l’occupazione di ogni sbocco al mare dal porto, dai cantieri navali, da industrie ed attività varie, in parte dall’inquinamento che generano quelle stesse attività assieme alla città e in parte dalla posizione della diga foranea che trasforma in porto tutto il golfo.

Eppure Spezia, dopo l’Unità d’Italia, era un promettente luogo turistico, ci si bagnava nelle acque antistanti l’odierna via Chiodo, che non esisteva, ed anche quando si decise di trasformarla in piazzaforte militare ed iniziò la costruzione dell’arsenale con conseguente spostando a sud della linea del mare per via dei riempimenti fatti con il materiale di scavo dei bacini e delle darsene, tutto il fronte mare era un fiorire di spiagge e stabilimenti balneari dai nomi tipici, come quelli che si trovano oggi nella costa che va da Carrara sino alla Versilia ed ancora più giù: Eden, Nettuno, Selene, Iride e chissà quanti altri.

Di alcuni di essi si può avere l’idea di come erano fatti grazie alle vecchie cartoline, di altri, se ne è persa memoria, ma ne parlano le pubblicità e i trafiletti sui giornali.

Così possiamo sapere che il Grande Stabilimento Balneario Selene offriva nel 1885 un gran ribasso sui prezzi dei bagni e un servizio completo di Restaurant e gelati alla napoletana (“Il Lavoro” del 20 Giugno 1885) e che nel 1890 venne aperto lo Stabilimento Balneario di San Cipriano che, restaurato di recente offre ai signori bagnanti tutte le comodità che possono desiderare, non esclusa quella dei bagni di arena (il periodico settimanale “La Spezia” del 19 e 20 luglio 1890).


"Il Lavoro” del 20 Giugno 1885


il periodico settimanale
“La Spezia” del 19 e 20 luglio 1890

Alla fine del secolo il Grande Stabilimento Balneario Selene, in occasione del 22° anno di esercizio, annunciava il rinnovo e l’ampliamento dei locali promettendo la massima pulizia senza eccezioni ed addirittura una splendida illuminazione ad acetilene (il periodico bisettimanale “L’Unione” del 10 luglio 1900).


“L’Unione” del 10 luglio 1900

Nel 1900 apriva il Nuovo Stabilimento Balneario Iride che per la sua eleganza e comodità sarà il ritrovo gradito della stagione sempre “L’Unione” del 10 luglio 1900).



"L'Unione" del 10 luglio 1900


"Gazzetta della Spezia"
del 08 luglio 1900
Lo stesso anno si registrava l’impresa natatoria di alcuni atleti della Rari Nantes Spezia. Come riportava la “Gazzetta della Spezia” del 08 luglio 1900, Domenica scorsa i sigg. Cipollina, Gnocchi e Crovetto in sole tre ore compievano a nuoto il tragitto dal Selene all’Iride e viceversa, con breve sosta a quest’ultimo stabilimento. Il giovanetto De Stefanis che nell’andata si era mantenuto primo, al ritorno, sorpreso da leggera indisposizione, dovette salire sulla barca che accompagnava i nuotatori.

Tutti questi stabilimenti balneari, in ossequio alla moda dell’epoca, erano costituiti da una passerella di accesso ad una palafitta immersa nell’acqua e suddivisa in diversi ambienti generalmente dotati di scale che consentivano ai bagnanti il libero accesso al mare. Uomini e donne occupavano due zone separate ed erano banditi gli abbigliamenti discinti. Erano di rigore erano i costumi lunghi, veri e propri abiti da bagno. Solo negli anni venti comparvero le prime cabine poste in linea parallela rispetto al mare.

In questo raro filmato del 1931 dell’Istituto Luce si possono osservare i nostri progenitori che si bagnano nelle acque nostrane:


Negli anni seguenti alcuni di questi stabilimenti chiuderanno ed altri apriranno. Si ha notizia dello stabilimento balneare Elios che chiuse dopo la seconda guerra mondiale, mentre nei primi anni cinquanta erano ancora attivi il Tritone, l’Iride ed il Nettuno.

Il Nettuno negli anni cinquanta era dotato anche di una rotonda dedicata alle danze ed era consentito l’accesso anche in costume purché decoroso: le donne costume intero ovviamente e gli uomini non dovevano mostrare l’ombelico!

Gli stabilimenti balneari Eden e Nettuno
L'Eden e il Nettuno

Non è facile sapere dove fossero realmente ubicati questi stabilimenti balneari ed è possibile che con l’estendersi della città abbiano traslocato lungo la costa in direzione di Lerici.

Si sa per certo che il Selene era a Porta Rocca a fianco della Canottieri Velocior, nella zona dove è adesso la Capitaneria di Porto, il San Cipriano doveva trovarsi all’altezza dell’ospedale Sant’Andrea, mentre l’Elios, il Tritone, l’Iride e il Nettuno erano lungo viale San Bartolomeo, il primo all’altezza del Canaletto e l’ultimo all’altezza di Porto Lotti.

Lo stabilimento Iride
L'Iride


Lo stabilimento Selene
Il Selene


Lo stabilimento Selene
Ancora il Selene


Il Velocior e sullo sfondo il Selene
Il Velocior e sullo sfondo il Selene in una foto del 1885

Dalla metà degli anni cinquanta in avanti ogni spazio a mare sparì fagocitato inesorabilmente dalle attività cantieristiche, industriali, artigianali e militari che si svilupparono nella parte est del golfo sino a Pertusola ed oggi siamo costretti a percorrere come minimo dieci chilometri per riuscire a trovare zone balneabili.

C’è qualche nostro amministratore a dire il vero che ha provato a restituircelo con molta fantasia (e prendendoci anche parecchio per i fondelli): ricordate il “Solarium” con i lettini in passeggiata Morin di un po’ di anni fa e che ne dite della fulgida idea dell’attuale sindaco di ridarci l’accesso al mare niente di meno che.... in diga?

Già, la diga, quello sbarramento lungo oltre 2000 metri nato alla fine dell’ottocento per controllare l’accesso al golfo e quindi per motivi esclusivamente militari, ma che oggi è diventato una prigione per il golfo e e per i paesi che vi si affacciano, Fezzano, Cadimare, Le Grazie, diventati anch’essi parte integrante del porto senza averne alcun beneficio né in termini di lavoro, né in termini di salvaguardia.

Ma ora che la Marina Militare sta ritirandosi da Spezia ed abbandonerà progressivamente parte delle strutture che ha occupato in questo secolo e mezzo, ora che è in discussione anche la presenza del rigassificatore a Panigaglia, ora cioè che si sta liberando tutta la parte ad ovest del golfo come utilizzeremo quella costa? Per costruire nuovi cantieri?

Invece di creare un Waterfront (che sarebbe più onesto chiamare Portfront), siamo proprio sicuri che gli spezzini non preferirebbero un Beachfront, recuperando delle aree del loro golfo da aprire alla balneazione e, perché no, al turismo? E cosa ci sarebbe di meglio della costa a ponente che, grazie anche ai militari, si è conservata quasi intatta dallo sviluppo caotico che ha avuto la città in questi ultimi decenni?

Impossibile? Forse no, basterebbe arretrare di un bel po’ la diga foranea che non ci deve più difendere dagli attacchi delle flotte nemiche, oggi le guerre si combattono in maniera diversa, restituendo al mare aperto parte della nostra costa.

Un’opera titanica? Su, non scherziamo, la costruirono i piemontesi un secolo fa con i mezzi di allora, figuriamoci se non saremmo in grado di realizzarla anche noi.

E poi faremmo felici anche gli agenti immobiliari che, quando mostreranno un balcone rivolto a sud ad un potenziale acquirente, potranno finalmente dire:

- e qui c’è una splendida vista mare

senza doversi sentire puntualmente correggere con un:

- vista porto, vorrà dire!


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