sabato 1 maggio 2010

Giù il sipario!

Il primo teatro di cui si abbia una qualche notizia è il Teatro San Carlo, ristrutturazione dell’Oratorio di San Carlo requisito da Napoleone attorno al 1798 come quasi tutti gli edifici religiosi, localizzabile in via Sapri dove è stato per molti anni il Cinema Diana.

D’altra parte è logico pensare che in un borgo di un migliaio di abitanti le attività teatrali si svolgessero più per le strade che in locali ad esse dedicate.

Dopo sei anni di lavori, il 18 luglio 1846 avvenne l’inaugurazione, con l’Ernani di Giuseppe Verdi, del Teatro Civico.

Posto subito fuori le mura della città, possedeva una platea a forma di ferro di cavallo e sessanta palchi disposti in tre ordini sormontati dal loggione. Fu finanziato anche grazie al contributo di ricchi concittadini dell’epoca che ne ottennero in cambio la proprietà esclusiva ed illimitata dei palchi. La facciata originale aveva un porticato al piano terreno leggermente sopraelevato rispetto al livello della piazza, con un avancorpo centrale. Sul frontone erano collocate cinque sculture, tre sul tetto raffiguranti la Musica, la Tragedia, l'Arte Plastica e due frontali al porticato raffiguranti le allegorie del Golfo e della città della Spezia oggi poste lungo la via Chiodo.

Il Teatro Civico in una foto del 1871
Il Teatro Civico come era originariamente

Al primo piano del ridotto e nei locali vicini erano collocate le sale del “Casino Civico”, luogo di incontri mondani per la “Spezia Bene”.

Nel 1870 vi è traccia anche di un Teatro delle Varietà, detto anche teatro diurno, perché la platea era a cielo aperto, ubicato tra via Prione e via Duca d’Aosta, l’attuale via Rosselli. Calcò le sue scene nel 1879 una giovanissima Eleonora Duse nella “Teresa Raquin” di Emile Zola. Dopo pochi anni di attività l’area dove sorgeva il teatro venne però espropriata per la costruzione della zona di piazza del Mercato.

Con l’aumento vertiginoso della popolazione dovuto all’inizio dei lavori per la costruzione dell’Arsenale, il teatro Civico si rivelò inadeguato e pertanto il Comune concesse gratuitamente ad Agostino Chiappetti l’autorizzazione alla costruzione all’estremità opposta di Via Chiodo rispetto all’entrata dell’Arsenale, esattamente al centro dell’attuale Piazza Verdi, del Teatro Politeama Duca di Genova.

Eleonora Duse
Eleonora Duse

Come il Teatro Civico, il nuovo edificio si presentava in linee neoclassiche con un ampio balcone che si allungava in quasi tutta la facciata. All’interno aveva la forma classica del ferro di cavallo, con palchi, loggione e platea su progetto dell’architetto Erminio Pontremoli. Fu inaugurato il 31 luglio 1880 con l’AIDA di Giuseppe Verdi.

Il Politeama Duca di Genova
Il Politeama Duca di Genova

In poco tempo il Politeama Duca di Genova divenne il punto focale delle grandi stagioni teatrali, dalla commedia all’opera drammatica, dalla lirica alle operette, ma anche luogo di conferenze, feste, comizi e adunanze di partito.

Una rara immagine del 1929 del palco
Il palco in una rara immagine del 1929

Una rara immagine del 1929 degli interni
Una rara immagine del 1929 degli interni

La concorrenza del Politeama Duca di Genova determinò una profonda crisi nelle attività teatrali del Civico, tanto che in molti erano dell’idea di riconvertirlo ad altre funzioni e forse così sarebbe avvenuto se non fosse stato per la presenza del “Casino Civico”. Proprio per la sua accresciuta importanza, nel 1889 il Casino venne ampliato modificando anche la struttura stessa del teatro, compresa la facciata nella quale vennero allineate al corpo centrale le due parti laterali in origine più arretrate.

Il Teatro Civico dopo il rifacimento del 1889
Il Teatro Civico dopo il rifacimento del 1889

Il 17 gennaio del 1885 venne inaugurato il teatro dell’Unione Fraterna, posto all’incrocio tra via Colombo e via Duca di Genova, ora via Rosselli. Dotato della sola platea e non molto ampio, era impreziosito da una serie di affreschi di Navarrino Navarrini che occupavano le due pareti laterali e l’intero soffitto; gli affreschi sfumavano, poi, in una morbida decorazione che incorniciava il boccascena. Venne distrutto da un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale e poi ricostruito, in forma moderna, sulle rovine del precedente. Dei decori originali conserva solo un grande affresco sulla porta di entrata che rappresenta, in maniera allegorica, la città della Spezia.

Nel 1897 nelle cronache cittadine vi è traccia di un non meglio identificato Politeama Nazionale e nel 1905 di un Nuovo Politeama Sociale, mentre a Migliarina “Monte”, sempre alla fine del secolo, veniva aperto il Teatro Danese, poi ristrutturato nel 1931.

Gli inizi del novecento videro un fiorire di nuovi teatri sulla scena cittadina, ma anche l’avvento del cinematografo. Alcuni teatri si attrezzarono per accogliere questa nuova forma di spettacolo, il Teatro Civico ad esempio, ma la prima sala nata appositamente per le proiezioni fu il Salone Edison, in via Di Monale 14.

La facciata del Teatro Trianon oggi
La facciata del Teatro Trianon oggi
Nel 1913 Felicita Vicchi fece costruire in via Manzoni, su progetto dell’architetto Vincenzo Bacigalupi, un incantevole teatrino che prese il nome di Trianon con lo scopo di favorire la carriera dei suoi due figli, entrambi dediti allo spettacolo. Dotato di platea, gallerie e barcacce, era ornato da statue del giovanissimo scultore Augusto Magli e da decorazioni di Vittorio Giorgi. Questo piccolo teatro, ricco di stucchi e arredato con gran classe, divenne ben presto il centro del futurismo spezzino, tanto che di qui passò anche Filippo Tommaso Marinetti. Il Trianon rimase aperto con alterne fortune sino al 1925, prendendo anche il nome di Teatro Rinaldi, poi venne trasformato in cinematografo con il nome di Cinema Teatro Centrale, per essere poi chiuso definitivamente negli anni trenta.

Dal 1946 i locali vennero utilizzati da un’autorimessa, ma alcuni fregi sono ancora visibili sia sulla facciata del palazzo che negli interni, nonostante una rampa ne abbia danneggiato irrimediabilmente una parte. Da alcuni anni, grazie all’interesse di alcuni volenterosi, periodicamente il Trianon viene riaperto per ospitare mostre, convegni e spettacoli teatrali, naturalmente entro i limiti che una struttura abbandonata da così tanti anni può consentire.

Quasi contemporaneamente venne aperto il Cinema Teatro Ambrosio, che ebbe, successivamente, anche i nomi di Sala Rossi, Novecento e Moderno. Posto all’angolo tra via Roma e via Di Monale, era dotato di platea e di galleria. Il progetto in stile Liberty, con reminiscenze neo-gotiche, era stato predisposto dall’Architetto Franco Oliva che aveva affidato le decorazioni pittoriche a Cafiero Luperini e quelle plastiche ad Augusto Magli. Inaugurato il 18 settembre 1914, fu completamente distrutto da un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale.

Il Duca degli Abruzzi, poi Teatro Olimpia, costruito dai fratelli Cesare e Solferino Ricco in via XX Settembre, nei pressi di piazza Saint Bon, era un locale alquanto spoglio, dotato di platea e galleria ed ebbe una vita alquanto travagliata. Nel 1925 i fratelli Ricco finirono in fallimento e il teatro venne rilevato dalla Cassa di Risparmio della Spezia e nel 1937 passò in proprietà al Dopolavoro ferroviario. Durante la seconda guerra mondiale, venne quasi totalmente distrutto da un bombardamento aereo. Al termine della guerra venne ricostruito privo di palcoscenico e venne adibito, con il nome di Smeraldo, quasi esclusivamente a spettacoli cinematografici.

Subito dopo la guerra i fratelli Giulio e Virgilio Cozzani diedero incarico all'Architetto Franco Oliva di progettare un cinema teatro in un edificio di loro proprietà. L’opera venne completata nel 1920 e venne inaugurata con un concerto di beneficenza in favore dei terremotati di Fivizzano.


Il Cozzani
Il Cozzani da via De Nobili

Realizzato in stile liberty, il Cinema Teatro Cozzani era impreziosito all’interno dagli affreschi di Luigi Agretti, 92 figure umane, angeli ed animali, tra i quali, proprio sopra il palcoscenico, otto cavalli al galoppo.

Gli interni, impreziositi dai decori degli scultori Augusto Magli e Angiolo Del Santo e da lampade e lampadari in stile liberty, erano un vero gioiello e persino la feritoia di proiezione e gli spioncini per l'operatore erano finemente decorati. Ancora oggi che è stato trasformato in “Sala Bingo”, sono presenti all'esterno del’ex Cinema Teatro Cozzani, soprattutto su via Raffaele De Nobili e via Roma, fregi, maschere e putti di splendida fattura.

E’ del 1923 l’apertura dell’Arena Principe Umberto, un teatro all’aperto in via dello Zampino dedicato a spettacoli di varietà e proiezioni cinematografiche. L’area venne poi acquistata da Luigi Monteverdi che vi costruì l’omonimo teatro su progetto dell’architetto Olinto Zanazzo, una sala enorme, capace di 3.000 posti a sedere, con 74 palchi suddivisi in 3 ordini, 3 gallerie ed un loggione. Le decorazioni interne ed esterne erano opera dello scultore spezzino Enrico Carmassi. Lungo via dello Zampino, dove si apriva l’ingresso, sopra ognuna delle 5 porte vi erano altrettanti putti allegorici e 4 statue di muse appoggiate su mensole delle quali ne sono sopravvissute soltanto due. Il palco del Teatro Monteverdi, negli oltre cinquanta anni di attività, fu meta delle migliori compagnie teatrali e di grandissimi artisti come Emilio Bione, baritono spezzino, e in tempi più recenti, Macario, Totò, Alberto Sordi, e poi cantanti come Nilla Pizzi, Achille Togliani, Giacomo Rondinella, Claudio Villa e ancora mostri sacri del jazz, come Duke Ellington e Louis Amstrong. Su quel palco si disputarono anche incontri di pugilato e vi si tenne il 1° festival della canzone dedicato ai bambini organizzato e presentato il 30 aprile del 1958 da Padre Dionisio del “Sorriso Francescano”. Il teatro venne definitivamente chiuso il 19 marzo del 1979.

Nel 1932 il Teatro Civico venne demolito e rifatto dalle fondamenta su progetto dell'architetto Franco Oliva ed il 4 febbraio 1933 venne inaugurato con la rappresentazione di Tosca cantata dal soprano Bianca Scacciati. il Civico riprese il predominio tra i teatri cittadini anche per via della decisione di demolire il Politeama Duca di Genova che intralciava per la sua posizione il progetto di allargamento della città ad est. L’appalto “a trattativa privata dei lavori di demolizione con diritto di proprietà dei materiali di recupero” venne aggiudicato il 07.08.1933 alla Impresa Società Anonima Ing. Nino Ferrari & C. “per il prezzo a forfait di lire 25.000 a favore del Comune” e l’abbattimento avvenne in meno di 2 mesi. L’ultimo spettacolo andò in scena il 23 luglio 1933 con la Compagnia Dialettale Genovese di Rosetta Mazzi.

I bombardamenti della seconda guerra mondiale danneggiarono molte sale, alcune irrimediabilmente, come il Salone Edison e il Cinema Teatro Ambrosio.

La ricostruzione del dopoguerra ci regalò un nuovo teatro, il cinema teatro Astra, in via Veneto, tra via Costantini e via Crispi oltre ad un numeroso gruppo di cinematografi, molti posti nel centro storico, come il Marconi, l’Odeon, il Diana, altri di quartiere, come il Garibaldi, il Palmaria, altri ancora di oratorio, come il Candor e il Don Bosco.

Negli anni dai cinquanta fino ai settanta operavano in città 4 teatri, seppur nessuno a tempo pieno: il Civico era destinato alla commedia classica ed alla musica colta, l’Astra alla commedia leggera e all’operetta, il Cozzani alla commedia leggera, il Monteverdi al varietà, alla musica leggera e al… pugilato!

Ad uno ad uno, tranne il Civico, chiusero i battenti.

Il Monteverdi chiuse il 19 marzo del 1979 e dopo anni di abbandono sta per essere riconvertito in un parcheggio multipiano, l’Astra chiuse negli anni ottanta ed al suo posto è presente da ottobre del 2005 un supermercato Basko, il Cozzani chiuse negli anni ottanta e al suo posto dal 2002 è presente una Sala Bingo.

La vita è una ruota che gira e alla fine tutto torna al punto di partenza: avevamo un teatro nel 1798 e uno ne abbiamo nel 2010.

E’ bello constatare però che il tempo a Spezia non passa mai.


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domenica 11 aprile 2010

L’evaporazione dei campi di calcio

Una volta Spezia abbondava di campi e campetti di calcio, luogo di aggregazione, di divertimento e di attività fisica di bambini, adolescenti, ragazzi e di “sempre giovani”.

Fatta eccezione per il centro storico, dove esisteva e probabilmente esiste ancora il campetto a 5 dell’Oratorio Don Bosco in viale Garibaldi (in cemento!), ogni quartiere, ne aveva almeno uno.

Chiamarli “campi di calcio” è forse un po’ pretenzioso, visto che erano praticamente tutti in terra battuta e scarsamente regolamentari: pali tondi o quadrati, reti per lo più da pesca adattate alla bisogna, dimensioni fantasiose, superfici non sempre pianeggianti.

Ricordo che i portieri erano terrorizzati dal Cerulli che si diceva avesse porte più larghe del normale e che al Tanca l’area di rigore non distava più di 2 metri dalla linea laterale.

La massima concentrazione di campi e campetti si aveva tra i quartieri di Mazzetta e Migliarina dove se ne contavano cinque.


Il Tanca e lo scomparso Cerulli

Il "Tanca" ed lo scomparso "Cerulli"

Oltre al Tanca, ancora esistente, seppure ruotato rispetto alla disposizione d'un tempo, c’era il Cerulli posto su via Lunigiana dal lato opposto al Tanca e stretto tra il parcheggio degli autobus (dal quale derivava il soprannome di SITA) e la massicciata della ferrovia ed il campo del Mazzetta, in via Padre Giuliani dove ora inizia via Parma che in origine si sviluppava parallelamente alla strada, poi perpendicolarmente.

All’interno dell’Oratorio dei Domenicani, in via Veneto, dove ora c’è un unico campo a 11 di dimensioni un po’ ridotte, c’erano due campi a 7.


Il campo scomparso di Mazzetta

Il campo scomparso di Mazzetta

Tra La Pianta ed il Canaletto c’erano due campi a 7. Il primo si raggiungeva deviando da via del Canaletto in una stradina pedonale con tanto di ponticello sul Dorgia (forse l’attuale via Bragarina) e sbucando in un tratto di aperta campagna dove ora c’è appunto il quartiere di Bragarina; il secondo si trovava affianco al vecchio Oratorio del Canaletto quando sorgeva in corso Nazionale e si raggiungeva scendendo una scaletta. L’Oratorio ed il campo di calcio successivamente vennero spostati in via Palmaria dove, fortunatamente, sono sopravissuti fino ad oggi. A Fossamastra c’era il campo dell’ENEL sacrificato in questi ultimi anni alla costruzione della darsena. Anche Valdellora aveva il suo campo in via Volta. Nella parte a nordest della città sopravvivono solo il campo di Montepertico e i due campi, a 11 e a 7, della Pieve.

Spostandoci a nordovest, campo storico era quello del XXI° posto su via Aldo Ferrari all’altezza dell’incrocio con viale Amendola dove è ora il complesso scolastico del “2 giugno”.


Il glorioso campo del XXI°

Il glorioso campo del XXI°

Un po’ più a nord sono ancora presenti il campo di Rebocco al termine di viale Alpi, quello del Dopolavoro Ferroviario, in via Fossitermi dal lato della ferrovia e quello della Chiappa in via Arzelà, mentre ad est, lungo la costa verso Portovenere, quello di Marola.

Naturalmente sono stati costruiti altri campi, il Ferdeghini ad esempio e il campo delle Pianazze entrambi a ridosso dell’autostrada, ma il saldo è sempre fortemente negativo.

Dei 18 campi e campetti esistenti negli anni sessanta e settanta, Picco escluso, ne sopravvivono solo 13, sacrificati quasi tutti alla costruzione di nuove case di civile abitazione.

Spezia deve essere l’unica città al mondo in cui, via via che decresce la popolazione (nel 1971 nel comune capoluogo eravamo quasi 125.000, nel 2008 poco più di 95.000), si costruiscono nuove case: uno dei misteri misteriosi della nostra città


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domenica 28 marzo 2010

I Baracconi

Ai primi di novembre via 24 Maggio si animava. Negli anni sessanta era ancora a doppio senso di marcia e, nel tratto compreso tra via Doria e via Pascoli, dopo due sole gocce d’acqua, la strada diventava un vero e proprio acquitrino.

I primi carri arrivavano di sera e parcheggiavano nell’area sterrata che era dietro al distributore della Mobil, più o meno dov’è ora la Banca Toscana. Di prima mattina entravano nello spiazzo dell’attuale piazzale Kennedy dal varco che era posto in via Doria e cominciavano a prendere posto nei luoghi loro assegnati. Era uno spettacolo vederli aprirsi come ombrelli e trasformarsi in piste, giostre, pagode e stand in pochissime ore.

In un giorno o due tutto era pronto ed il Luna Park dei Viotto, anzi i “Baracconi”, iniziavano a vivere. Suoni, luci, musica riempivano il quartiere: Mazzetta diventava il polo di attrazione di tutta la città.

Appena si entrava si era investiti da quell’odore caratteristico di torrone e zucchero filato, misto a polvere e metallo che rimane indelebile nei ricordi.
La pesca del cigno
La pesca del cigno

E poi i colori fantasmagorici, i suoni aggressivi precursori di quelli dei videogiochi, le luci abbaglianti, le grida dagli altoparlanti che chiamavano “altro giro, altra corsa”, le risate ed i pianti dei bambini, le urla e gli sfottò dei grandi.

Il Calcinculo
Il Calcinculo

E le code alle attrazioni più ambite, l’autoscontro, l’ottovolante, il pubblico col naso all’insù ad osservare quei pazzi che roteavano nel vuoto scommettendo su chi sarebbe riuscito, facendosi lanciare il seggiolino da chi stava dietro, a raggiungere e strappare dal suo supporto la quasi irraggiungibile coda di volpe al calcinculo per vincere un giro gratuito, e le battaglie spaziali su quelle improbabili astronavi che scendevano ad una ad una colpite dagli avversari finché non ne rimaneva una sola lassù, sospesa in cielo.

Ed il pungiball, la pesca miracolosa, il tirassegno ed il tiro ai barattoli, i flipper rigorosamente meccanici, il castello fantasma e gli specchi deformanti. Ma il fascino assoluto i “Baracconi” per me lo raggiungevano alla mattina, con gli stand chiusi e neppure un’anima viva, in quell’atmosfera grigia e umida dell’inverno spezzino, le luci spente ed il silenzio, solo alcuni gestori delle attrazioni impegnati nelle pulizie e nella manutenzione. Davo una mano a lucidare i vetri dei flipper e mi guadagnavo la mia ora di gioco gratuito tra le decine di attrazioni della sala giochi, aiutavo a sistemare i bersagli e scroccavo qualche tiro col fucile ad aria compressa. Ma il massimo lo raggiunsi quando mi feci amico il gestore dell’autoscontro aiutandolo a parcheggiare le vetture in fila dal lato della pista più vicina alla cassa e a recuperare i gettoni che clienti distratti avevano seminato attorno allo stand.


L'autoscontro
L'autoscontro

La ricompensa era la magica chiave che, infilata nella fessura, dava l’opportunità di guidare una vettura in una pista vuota e silenziosa.

In quei momenti mi sentivo il padrone assoluto dei “Baracconi”.


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martedì 23 marzo 2010

Panchine spezzine

Ci sono dei particolari, anche minimi, che caratterizzano una città, che la differenziano dalle altre. Roma ha i sampietrini, Milano i navigli, Genova i carruggi.

Spezia, nel suo piccolo, aveva le panchine, queste panchine.


La tipica panchina spezzinaLa tipica panchina spezzina

Naturalmente una panchina è solo una panchina e quindi non è degna di grande considerazione, ma la panchina tipica spezzina forse un po’ di attenzione la meriterebbe, con quello stile liberty, quella struttura che ricorda il tralcio di un albero, nodi compresi.

Un particolare
Particolare
Un altro particolare
Un altro particolare

Non è una panchina comoda, con quelle linee diritte e la foggia in metallo, fredda d’inverno e calda d’estate, ed è anche un po’ bassa rispetto agli standard odierni, ma fa parte dell’arredo urbano, nasce con la città, nel momento stesso in cui il borgo diventa una località degna di nota, e si espande, con la città, in ogni quartiere.


Panchina in Piazza Chiodo nel 1900Piazza Chiodo 1900


Panchina nei Giardini Pubblici nel 1920 Giardini Pubblici 1920


Panchina nei Giardini Pubblici nel 1930
Giardini Pubblici 1930

Fino agli anni sessanta era praticamente l’unica panchina che conoscevano i fondoschiena degli spezzini, era presente ovunque, poi, col passare del tempo, qualcuna si deteriora, l’incuria, il vandalismo, e viene sostituita da altre anonime panchine di metallo generalmente verdi, ma anche rosse e gialle, alcune vengono rimosse per lavori di asfaltatura e mai più risistemate. Poi inizia l’era di quelle di plastica.


Panchina sulla Passeggiata Morin nel 1935 Passeggiata Morin 1935


Panchina sulla Passeggiata Morin nel 1950Passeggiata Morin 1950

Uno dei simboli della città , come molti altri, che spariscono per via della scarsa attenzione che i nostri amministratori e noi stessi poniamo alle cose del passato seguendo lo slogan “è vecchio, buttiamolo” che sembra la parola d’ordine di questa città.


La versione rotonda della panchina spezzina La versione rotonda

Oggi ne rimangono poche, per lo più concentrate nel “Boschetto”, quella parte dei giardini pubblici che va da via Diaz a via Galilei attorno al Palco della Musica.

Eppure non ci vorrebbe molto a risistemarle, basterebbe riprendere il calco della struttura e farla replicare in una delle fonderie della provincia, il resto della struttura è elettrosaldata.

Chissà se qualcuno raccoglierà l’idea.


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