domenica 28 febbraio 2010

Storia - L'Ottocento

Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, le potenze europee vollero ripristinare gli Stati nei loro vecchi confini (il periodo storico è quello conosciuto come Restaurazione). Il Congresso di Vienna fece però un’eccezione per la Liguria annettendola al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele I: Spezia divenne sede dell'Intendenza della Provincia di Levante.

Dopo la Restaurazione, mentre molti conventi vennero restituiti agli ordini religiosi, quello di S. Francesco da Paola mantenne la sua destinazione ospedaliera ed assunse la nuova denominazione di Ospedale di Sant'Andrea.

I Piemontesi arrivati nel Golfo diedero il via ad una modesta fase di sviluppo come località di villeggiatura balneare prima e come centro marittimo poi.

Nel 1823 venne costruita la strada carrozzabile che collegava Genova a Sestri Levante e da qui, attraverso il Bracco, giungeva a Spezia, rompendo l’isolamento del Borgo.

Per tutto l’ottocento Spezia ebbe un carattere principalmente turistico e fu spesso meta delle vacanze dei Savoia e del Re, che alloggiava presso il Grand Hotel d'Italie (poi divenuto Hotel Reale Croce di Malta, poi sede del Banco di Napoli ed oggi proprietà della Fondazione Carispe), all’epoca direttamente prospiciente il mare.

Il Grand Hotel, costruito nel 1845, era completato da due edifici laterali che ospitavano le scuderie ed i bagni di mare salati al coperto.


L'Hotel Reale Croce di Malta
L'Hotel Reale Croce di Malta nel 1869

Poco distante dal Grand Hotel d'Italie, verso l’Arsenale, erano sorti i Giardini Pubblici, divisi in due zone ben distinte: il Boschetto al cui interno nel 1913, verrà collocato il Palco della Musica, vero gioiello liberty, e l’ampio giardino all’italiana, con piante decorative sempreverdi. Il lungomare era spiaggia!

Lungo la costa si potevano scorgere diversi stabilimenti balneari costruiti seconda la moda ottocentesca ovvero su palafitte poste in mezzo al mare e collegate alla terraferma mediante passerelle. La ricchezza dei locali e dei servizi ne determinava la clientela a cui erano destinati.


Lo stabilimento balneare Iride
Lo stabilimento balneare Iride

Nel 1823 la città divenne capoluogo e nel 1846 venne inaugurato il Teatro Civico con la rappresentazione dell'Ernani di Giuseppe Verdi.


Il teatro Civico nel 1850
Il Teatro Civico

Così George Sand descriveva la costa nel 1855:

Grandi acquitrini, in parte coltivati, si stendono tra la Spezia e le rocce coperte di pini che, con le loro radici, arrivano fino alla riva del mare...


E così veniva descritta la città nel 1857 sulla Guida storico-statistica monumentale dell'Italia e delle isole di Sicilia:

Dalla città vedesi non solo tutto il golfo, ma ancora tutta la catena di montagne che cinge il mare, ed anche Livorno. La chiesa di S. Maria, eretta nel 1550, contiene buone pitture, fra cui uno splendido quadro di G.B. Casone. Questa città ha bagni assai frequentati, un recente ed elegante Teatro e varj istituti di pubblica beneficenza. A qualche distanza dalla sponda del mare vi è una sorgente che spicca con forza un getto d'acqua dolce. Numerose case di campagna, abbondanti piantagioni d'alberi fruttiferi, olivi, ec., rendono i contorni della Spezia assai aggradevoli.


Ma l’appena germogliata vocazione turistica di Spezia durò pochissimo.

Nel 1849 il Governo piemontese prese la decisione di costruire a Spezia un arsenale militare e di spostarvi la flotta di stanza a Genova per poter sviluppare meglio il porto mercantile nel capoluogo. Questa decisione segnerà, nel bene e nel male, lo sviluppo successivo e l’aspetto attuale della città.

I lavori presero inizio subito dopo l’Unità d’Italia e durarono sette anni, dal 1862 al 1869. Un cantiere enorme che attirò manodopera da tutte le parti d’Italia: la città, che nel 1861, alla proclamazione del Regno d'Italia, assommava a poco più di 15.000 persone, vedrà aumentare rapidamente la sua popolazione e in soli dieci anni supererà le 26.000 unità.

La costruzione dell'Arsenale Militare, che andrà ad occupare tutto il lato a ponente della baia di Spezia, costringerà la città a svilupparsi prima verso nord e verso sud e successivamente verso est.

Il mare, ancora nel 1840, giungeva all’altezza dell’attuale via Don Minzoni. Tutta la parte della città e dei giardini che oggi conosciamo venne sottratta al mare attraverso opere di riempimento completate negli anni successivi utilizzando il materiale di scavo dei bacini e dei fondali dell’Arsenale: a poco a poco la città si estese lungo tutta la piana compresa fra viale Amendola ed il Colle dei Cappuccini.


Il viale della banchina
Viale della Banchina

L'antico collegamento per Portovenere venne spostato più a nord, in corrispondenza dell'attuale viale Garibaldi che all’epoca si chiamava Via Militare. Anche il percorso del Lagora venne modificato e tramutato nel grande fossato che cinge ora tutto l'impianto militare ovvero la zona dell’Arsenale vero e proprio, e quelle di Piazza D'Armi e dell’Ospedale militare.

A fianco del Lagora venne costruito un lungo viale che terminava a nord contro il prospetto della Caserma del XXI Reggimento di Fanteria a separare la parte militare da quella civile della città, viale di Circonvallazione, poi viale Savoia ed ora viale Amendola.

I progetti prevedevano sostanzialmente le aggiunte di due quartieri: uno a nord, compreso fra la via Militare e le mura settentrionali dell'antica città, che si erano allargate rispetto a quelle del quattrocento, e l'altro verso il mare. I due assi di sviluppo della parte non militare della città vennero individuati in via Chiodo e Corso Cavour.

Via Chiodo, che rappresentava il legame fra la città e l'Arsenale, si apriva con la piazza omonima, accesso principale all'Arsenale militare, e si chiudeva contro la facciata del Politeama Duca di Genova, costruito nel 1880 al centro dell’attuale piazza Verdi.


Il Politeama Duca di Genova
Il Politeama Duca di Genova al centro di piazza Verdi

Lungo tutto il suo percorso o nelle immediate vicinanze, apriranno e chiuderanno diversi Hotel, segno della vocazione ancora in bilico della città: dove ora è l’ammiragliato c’era l'albergo Città di Milano poi trasferito nel vicino Palazzo Doria con il nome di Gran hotel de la ville de Milan, all'angolo di Via Chiodo con Via Prione c’era l’Hotel Grande Bretagne, poco lontano l’albergo Italia, poi il Grand Hotel d'Italie, in seguito divenuto Hotel Reale Croce di Malta.

Mentre per la creazione di via Chiodo, in origine chiamata via Vittorio Emanuele, non furono necessarie particolari opere attraversando solo campi coltivati e acquitrini, per rendere rettilineo corso Cavour fu necessario procedere alla demolizione degli antichi edifici che fiancheggiavano i numerosi carugi e della parte occidentale dell'antico Palazzo dei Biassa, nobile famiglia locale che ebbe il suo momento di massimo splendore all’epoca di Baldassarre, comandante della flotta pontificia, nel XVI secolo.



Il tracciato di Corso Cavour nella città antica

L’afflusso di così tanta manodopera ed i motivi igienici e di salute pubblica che implicava indusse il ministro della Marina Simone Pacoret de Saint Bon a far progettare la costruzione di alloggi per almeno mille famiglie operaie, ma la proposta venne accantonata.

Nel 1874 venne realizzata la linea ferroviaria e la stazione passeggeri di Valdellora. La stazione centrale verrà aperta nel 1887 e nel 1892 verrà completato il collegamento con Parma.

Attorno al 1884 la popolazione arrivò a superare i 36.000 abitanti ed in quello stesso anno fu colpita da una pesante epidemia di colera. Il cinquecentesco convento delle Clarisse, poco a sud del Castello di San Giorgio, che nel 1880 era divenuto sede distaccata dell'Ospedale Sant'Andrea, durante l'epidemia che colpì la città, ospitò gli ammalati di colera prendendo il nome di Lazzaretto.

Le autorità si resero conto che la mancanza di fognature, l'inadeguatezza della rete idrica, il sovraffollamento avevano reso indifferibile la realizzazione del progetto di Saint Bon della costruzione di un quartiere operaio più a nord, il quartiere Umbertino. I lavori durarono dal marzo 1886 al maggio 1890, il disegno quello tipico torinese con palazzine affiancate ed intervallate da un costruzione più bassa per mantenere sulla strada la continuità dei negozi e, contemporaneamente, permettere l'affaccio degli appartamenti su tutti i lati della costruzione. Tra i blocchi delle abitazioni è sempre presente uno spazio ad uso collettivo con i lavatoi.

Intorno al 1887 vennero costruite le prime abitazioni a Migliarina.

Nella parte alta della città vecchia si completò la costruzione di Piazza Cavour e degli edifici che la delimitano. Il mercato che fino ad allora si era tenuto nelle vicinanze di piazza Beverini e cioè in piazzetta Loggia dè Banchi per la frutta e la verdura e in Piazza del Carmine, oggi parte di Piazza Cesare Battisti, per il pesce, spazi oramai inadeguati, trovò una nuova sede proprio nella nuova piazza dove vennero costruite, lato mare, due tettoie in ferro in stile liberty, quella ad est aperta e quella ad ovest chiusa che presentavano sul portale lo stemma del comune. Una delle due tettoie “resistette” fino all’anno 1969.


Le tettoie liberty di Piazza Cavour
Piazza del Mercato con le due tettoie Liberty

Il completamento dell’Arsenale e della città così come progettata dai Piemontesi fece sì che vi fosse molta manodopera disponibile sul posto. Coloro che erano immigrati anni prima, oggi avevano una casa e difficilmente se ne sarebbero andati da una città che avevano contribuito a costruire quasi dal nulla. Si pensò allora di progettare un porto mercantile da affiancare a quello militare. Nel 1890 venne realizzato il primo molo a valle del colle di San Cipriano collegato alla ferrovia che allora passava ad est dell’odierno ospedale e nel 1892 si decise di dotare la città di una rete tranviaria per i trasporti pubblici.

Fra il 1877 ed il 1904 venne rettificato il percorso della Fossa Mastra agli Stagnoni e fu realizzata la strada militare che lo fiancheggia per raggiungere il Bersaglio.

Nella valle dell’Ora (da cui Valdellora), tra il colle dei Cappuccini e quello di San Cipriano, dove fra il 1904 e il 1908 verrà eretto il nuovo ospedale, nel 1867 venne costruita l'officina del Gas e, nel 1899, la prima officina elettrica destinata all'illuminazione pubblica.

All’alba del nuovo secolo la città era un cantiere aperto.

(continua...)


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sabato 13 febbraio 2010

Le figurine

Tutti quelli della mia generazione hanno iniziato una collezione di figurine, noi maschi generalmente quella dei calciatori, ma ce n’erano di tutti i tipi, per bambini e per bambine.

Le prime figurine si compravano in edicola a 10 lire il pacchetto, ogni pacchetto ne conteneva 4, l’album generalmente, pur avendo un prezzo di copertina, veniva regalato dal giornalaio o addirittura nelle scuole (sul prezzo era stampigliata la parola “omaggio” con un timbro blu).

In quegli anni i calciatori avevano facce improbabili e maglie dagli strani colori e venivano incollate sull’album con la “Coccoina” , una colla che veniva venduta in barattolini metallici rotondi con un buco al centro che conteneva un corto pennellino.
Un album di figurine della Panini
L'album delle figurine

La Coccoina
La mitica Coccoina
La “Coccoina” aveva un odore dolciastro e sapeva di orzata (eggià, noi abbiamo mangiato di tutto, dalle matite alle gomme per cancellare, dai tappini di plastica delle biro alla carta dei quaderni e siamo ancora qui!) e, soprattutto, non finiva mai: quando incominciava a seccare, bastava aggiungere qualche goccia d’acqua, una rimestata e tornava come nuova!

Le figurine si incollavano stando bene attenti agli angoli e figurina dopo figurina gli album si deformavano assumendo le dimensioni di un volume di enciclopedia! In genere ci si incollavano anche le dita e poi si passava una buona mezzora a togliere le pellicine bianche appiccicate attorno ai polpastrelli.

Esistevano delle figurine speciali che sul retro portavano la scritta “valida” e “bisvalida” (tutto attaccato), una raccolta a punti che consentiva di vincere dei premi, con 100 punti si vinceva un pallone di cuoio!

Naturalmente nelle bustine si trovavano anche figurine che si avevano già, anzi, la maggior parte di quelle che si trovavano erano doppie ed allora si scambiavano con gli altri bambini. Si formavano dei crocchi di bambini nei cortili che, a due a due, mostravano le proprie figurine all’altro.
Una bustina di figurine Panini del campionato 1965-1966
Un bustina di figurine

Si assisteva a veri giochi di alta magia.

C’era qualche bambino che da una piccolissima tasca di un altrettanto piccolo calzone corto riusciva a tirar fuori un enorme mazzo di figurine tenuto assieme da un elastico, neppure fosse Eta Beta, toglieva l’elastico, posava il mucchio sul palmo della mano sinistra e, con un movimento veloce del pollice della mano destra, le passava sull’altro palmo mentre il bambino che osservava le figurine iniziava la litania “celò, celò, celò, celò, celò” fino a quando, all’apparire della figurina mai vista prima, erompeva nel grido “MI MANCA!”.

A quel punto, il “mazziere” con un movimento abile del pollice della mano destra spostava la figurina prescelta tra l’anulare e il mignolo della mano sinistra: altro che mago Silvan! Isolate le figurine prescelte, toccava al secondo bambino mostrare le proprie figurine ed il numero di alta prestidigitazione si ripeteva al contrario con quella tecnica oramai consolidata dalla pratica.

Alla fine rimanevano poche carte agognate nelle mani di ciascuno dei due bambini ed iniziava la contrattazione per effettuare gli scambi. Raramente gli scambi avvenivano alla pari, praticamente mai, perché ognuno vantava la maggiore rarità delle figurine che teneva nella propria mano. E allora iniziava una vera e propria sessione di “calcio mercato”:

- “ti do Pascutti se tu mi dai Meroni e Mora”

- “ma vuoi scherzare? Per Meroni e Mora mi devi dare anche Altafini oltre a Pascutti”

- “allora facciamo così: tu mi dai Meroni e Mora ed io ti do Pascutti e 10 altre figurine”

- “20!”


Su Pascutti e 15 figurine in genere ci si metteva d’accordo.
Ezio Pascutti
Ezio Pascutti

C’erano professionisti del commercio che ti dissanguavano prima di accettare uno scambio e presto si rimaneva con poche figurine nella tasca e niente soldi per andare a comprarle, anzi, quelli mancavano sempre.

E allora le figurine si provava a vincerle agli altri.

Un gioco molto praticato con le figurine era chiamato “muro”. A turno si appoggiava una figurina ad una certa altezza sul muro e poi la si lasciava cadere per terra.

Chi faceva atterrare la propria figurina sopra quella dell’avversario se ne impossessava e rimpinguava le proprie riserve di merce di scambio.

Anche a “muro” c’erano dei veri baby professionisti che sapevano come piegare in un certo modo una figurina per farla planare dritta dritta sopra quella degli altri. Io non ero tra questi e forse è per quello che non ho mai terminato un album di figurine.


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giovedì 4 febbraio 2010

Tutti al mare

Nei quasi 20 chilometri di costa che si snodano dal Muggiano a Cadimare, Spezia ha il record di non averne un solo metro balneabile! Lo hanno Savona, Imperia e persino Genova, ma Spezia nulla, bisogna ripiegare sui comuni vicini, Portovenere o Lerici, o spostarsi ad Ameglia o Marinella, quasi al confine con la Toscana o addirittura prendere il treno per accaparrarsi uno scoglio o un metro di spiaggia negli splendidi scenari delle Cinque Terre o il vaporetto per la Palmaria.

Eppure una volta non era così.

Nei primi anni sessanta io andavo al mare generalmente a San Terenzo, con la corriera, più spesso in bicicletta, ma c’era chi il bagno lo andava a fare alla Vela ovvero in viale San Bartolomeo all’altezza del Canaletto e si diceva che, fino a pochi anni prima, c’era chi il bagno lo faceva… al molo!

Sembra incredibile, eh?

Solo negli ultimi decenni il bagno nel proprio mare è stato precluso agli spezzini, in parte per l’occupazione di ogni sbocco al mare dal porto, dai cantieri navali, da industrie ed attività varie, in parte dall’inquinamento che generano quelle stesse attività assieme alla città e in parte dalla posizione della diga foranea che trasforma in porto tutto il golfo.

Eppure Spezia, dopo l’Unità d’Italia, era un promettente luogo turistico, ci si bagnava nelle acque antistanti l’odierna via Chiodo, che non esisteva, ed anche quando si decise di trasformarla in piazzaforte militare ed iniziò la costruzione dell’arsenale con conseguente spostando a sud della linea del mare per via dei riempimenti fatti con il materiale di scavo dei bacini e delle darsene, tutto il fronte mare era un fiorire di spiagge e stabilimenti balneari dai nomi tipici, come quelli che si trovano oggi nella costa che va da Carrara sino alla Versilia ed ancora più giù: Eden, Nettuno, Selene, Iride e chissà quanti altri.

Di alcuni di essi si può avere l’idea di come erano fatti grazie alle vecchie cartoline, di altri, se ne è persa memoria, ma ne parlano le pubblicità e i trafiletti sui giornali.

Così possiamo sapere che il Grande Stabilimento Balneario Selene offriva nel 1885 un gran ribasso sui prezzi dei bagni e un servizio completo di Restaurant e gelati alla napoletana (“Il Lavoro” del 20 Giugno 1885) e che nel 1890 venne aperto lo Stabilimento Balneario di San Cipriano che, restaurato di recente offre ai signori bagnanti tutte le comodità che possono desiderare, non esclusa quella dei bagni di arena (il periodico settimanale “La Spezia” del 19 e 20 luglio 1890).


"Il Lavoro” del 20 Giugno 1885


il periodico settimanale
“La Spezia” del 19 e 20 luglio 1890

Alla fine del secolo il Grande Stabilimento Balneario Selene, in occasione del 22° anno di esercizio, annunciava il rinnovo e l’ampliamento dei locali promettendo la massima pulizia senza eccezioni ed addirittura una splendida illuminazione ad acetilene (il periodico bisettimanale “L’Unione” del 10 luglio 1900).


“L’Unione” del 10 luglio 1900

Nel 1900 apriva il Nuovo Stabilimento Balneario Iride che per la sua eleganza e comodità sarà il ritrovo gradito della stagione sempre “L’Unione” del 10 luglio 1900).



"L'Unione" del 10 luglio 1900


"Gazzetta della Spezia"
del 08 luglio 1900
Lo stesso anno si registrava l’impresa natatoria di alcuni atleti della Rari Nantes Spezia. Come riportava la “Gazzetta della Spezia” del 08 luglio 1900, Domenica scorsa i sigg. Cipollina, Gnocchi e Crovetto in sole tre ore compievano a nuoto il tragitto dal Selene all’Iride e viceversa, con breve sosta a quest’ultimo stabilimento. Il giovanetto De Stefanis che nell’andata si era mantenuto primo, al ritorno, sorpreso da leggera indisposizione, dovette salire sulla barca che accompagnava i nuotatori.

Tutti questi stabilimenti balneari, in ossequio alla moda dell’epoca, erano costituiti da una passerella di accesso ad una palafitta immersa nell’acqua e suddivisa in diversi ambienti generalmente dotati di scale che consentivano ai bagnanti il libero accesso al mare. Uomini e donne occupavano due zone separate ed erano banditi gli abbigliamenti discinti. Erano di rigore erano i costumi lunghi, veri e propri abiti da bagno. Solo negli anni venti comparvero le prime cabine poste in linea parallela rispetto al mare.

In questo raro filmato del 1931 dell’Istituto Luce si possono osservare i nostri progenitori che si bagnano nelle acque nostrane:


Negli anni seguenti alcuni di questi stabilimenti chiuderanno ed altri apriranno. Si ha notizia dello stabilimento balneare Elios che chiuse dopo la seconda guerra mondiale, mentre nei primi anni cinquanta erano ancora attivi il Tritone, l’Iride ed il Nettuno.

Il Nettuno negli anni cinquanta era dotato anche di una rotonda dedicata alle danze ed era consentito l’accesso anche in costume purché decoroso: le donne costume intero ovviamente e gli uomini non dovevano mostrare l’ombelico!

Gli stabilimenti balneari Eden e Nettuno
L'Eden e il Nettuno

Non è facile sapere dove fossero realmente ubicati questi stabilimenti balneari ed è possibile che con l’estendersi della città abbiano traslocato lungo la costa in direzione di Lerici.

Si sa per certo che il Selene era a Porta Rocca a fianco della Canottieri Velocior, nella zona dove è adesso la Capitaneria di Porto, il San Cipriano doveva trovarsi all’altezza dell’ospedale Sant’Andrea, mentre l’Elios, il Tritone, l’Iride e il Nettuno erano lungo viale San Bartolomeo, il primo all’altezza del Canaletto e l’ultimo all’altezza di Porto Lotti.

Lo stabilimento Iride
L'Iride


Lo stabilimento Selene
Il Selene


Lo stabilimento Selene
Ancora il Selene


Il Velocior e sullo sfondo il Selene
Il Velocior e sullo sfondo il Selene in una foto del 1885

Dalla metà degli anni cinquanta in avanti ogni spazio a mare sparì fagocitato inesorabilmente dalle attività cantieristiche, industriali, artigianali e militari che si svilupparono nella parte est del golfo sino a Pertusola ed oggi siamo costretti a percorrere come minimo dieci chilometri per riuscire a trovare zone balneabili.

C’è qualche nostro amministratore a dire il vero che ha provato a restituircelo con molta fantasia (e prendendoci anche parecchio per i fondelli): ricordate il “Solarium” con i lettini in passeggiata Morin di un po’ di anni fa e che ne dite della fulgida idea dell’attuale sindaco di ridarci l’accesso al mare niente di meno che.... in diga?

Già, la diga, quello sbarramento lungo oltre 2000 metri nato alla fine dell’ottocento per controllare l’accesso al golfo e quindi per motivi esclusivamente militari, ma che oggi è diventato una prigione per il golfo e e per i paesi che vi si affacciano, Fezzano, Cadimare, Le Grazie, diventati anch’essi parte integrante del porto senza averne alcun beneficio né in termini di lavoro, né in termini di salvaguardia.

Ma ora che la Marina Militare sta ritirandosi da Spezia ed abbandonerà progressivamente parte delle strutture che ha occupato in questo secolo e mezzo, ora che è in discussione anche la presenza del rigassificatore a Panigaglia, ora cioè che si sta liberando tutta la parte ad ovest del golfo come utilizzeremo quella costa? Per costruire nuovi cantieri?

Invece di creare un Waterfront (che sarebbe più onesto chiamare Portfront), siamo proprio sicuri che gli spezzini non preferirebbero un Beachfront, recuperando delle aree del loro golfo da aprire alla balneazione e, perché no, al turismo? E cosa ci sarebbe di meglio della costa a ponente che, grazie anche ai militari, si è conservata quasi intatta dallo sviluppo caotico che ha avuto la città in questi ultimi decenni?

Impossibile? Forse no, basterebbe arretrare di un bel po’ la diga foranea che non ci deve più difendere dagli attacchi delle flotte nemiche, oggi le guerre si combattono in maniera diversa, restituendo al mare aperto parte della nostra costa.

Un’opera titanica? Su, non scherziamo, la costruirono i piemontesi un secolo fa con i mezzi di allora, figuriamoci se non saremmo in grado di realizzarla anche noi.

E poi faremmo felici anche gli agenti immobiliari che, quando mostreranno un balcone rivolto a sud ad un potenziale acquirente, potranno finalmente dire:

- e qui c’è una splendida vista mare

senza doversi sentire puntualmente correggere con un:

- vista porto, vorrà dire!


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