sabato 23 gennaio 2010

Il gioco delle biglie e dei tappini

Di biglie ne esistevano fondamentalmente due tipi: quella di vetro con all’interno delle ali colorate, più raramente vuote o di un unico colore, e quelle da spiaggia, generalmente in plastica costituite da due semisfere, una colorata e l’altra trasparente contenente al suo interno l’immagine di un ciclista.

Biglie da città
Biglie da città

Biglie da spiaggia
Biglie da spiaggia

Le prime erano biglie da città, le seconde, più grosse, adatte alla spiaggia oppure a cortili sterrati. Alle volte venivano chiamate palline, forse per distinguerle da quelle da città.

Dalle nostre parti i giochi più comuni da città erano il palmo e scontro e la variante del garo.

Entrambi venivano giocati o nei cortili o sotto i portici. Indispensabile per poter iniziare una partirta di palmo e scontro un muro o una superficie solida su cui far rimbalzare la biglia abbastanza lontano da quella avversaria: questa azione si chiamava appunto “spariglia”. Lo scopo del gioco era quella di colpire la biglia avversaria per impossessarsene.

La tecnica del tiro delle biglie
Il tiro
Colui che tirava, doveva posare la biglia nell’incavo formato dall’indice, leggermente curvato verso l’alto, e dalla punta del pollice destro. Poi appoggiava il pollice della mano sinistra per terra, nel punto in cui era posizionata la propria biglia, misurava un palmo, ruotava la mano sinistra sul mignolo, la chiudeva in posizione verticale al terreno, vi appoggiava la destra dove era presente la biglia e, stendendo rapidamente il pollice, lanciava la biglia verso quella del suo avversario.

Naturalmente doveva essere sicuro di colpirla, altrimenti passava la mano e rischiava di perdere la propria per cui, alle volte, si effettuavano tiri d’attesa, allontanandosi o avvicinandosi alla biglia dell’avversario, per indurlo a forzare e commettere un errore. Chi colpiva la biglia dell’avversario la conquistava e ricominciava il gioco con la "spariglia" iniziale sul muro o sulla superficie dura. Il gioco diventava molto più interessante se giocato in gruppo perché le condizioni variavano costantemente ed anche i litigi aumentavano in maniera esponenziale: in questo caso la partita finiva quando rimaneva in gioco solo l’ultima biglia.

Una variante era quella del garo che aveva bisogno di una buca di medie dimensioni, 20 o 30 centimetri di diametro: il nostro campo di gioco era sotto i portici di viale Italia, tra via San Cipriano e via Doria, lato mare, il cosiddetto palazzo rosso che aveva già allora una pavimentazione molto sconnessa e un po’ in discesa ed uno splendido garo, per la nostra felicità e fonte di parolacce per gli adulti che regolarmente ci incespicavano.



Il garo era una sorta di zona franca nella quale occorreva far cadere la propria biglia prima di poter attaccare quella avversaria. Occorreva quindi un doppio tiro, il primo per finire in garo, il secondo per colpire dal bordo del garo, con le stesse regole del palmo e scontro, la biglia avversaria ed impossessarsene. Rimasta una sola biglia in gioco, la partita finiva e si ricominciava, sempre ammesso di avere ancora biglie nelle tasche.


Una partita a biglie
Una partita a biglie

Ricordo due riti fondamentali prima dell’inizio di una partita. Le discussioni su quale gioco giocare che terminavano invariabilmente con il più deciso che diceva agli altri ”chi vuol giocare a garo (o a palmo e scontro) metta il dito qui sotto!” alzando una mano con il palmo rivolto al terreno e noi tutti lì con il dito, ed una frase velocissima detta in dialetto che era a metà tra un grido di guerra ed un richiamo alla lealtà, frase che non saprei ripetere un po’ perché all’epoca non conoscevo il dialetto, un po’ perché è passato un sacco di tempo.

Le palline si usavano invece quasi esclusivamente in spiaggia, ma occorreva una spiaggia ampia, Marinella ad esempio, per poter tracciare il percorso, generalmente con il sedere di un bambino, meglio una bambina perché più leggera da trainare. A seconda del fondoschiena si ottenevano piste diverse, più larghe o più strette, più profonde o più lievi. Alle volte si alternavano i sederi per ottenere un percorso più accidentato. Le piste migliori perché più dure si ottenevano sul bagnasciuga, ma spesso si giocava anche sulla sabbia asciutta che consentiva più inventiva.


Una partita a palline
Una partita a palline

Ognuno si sceglieva il proprio idolo a seconda del tipo di pista, i miei erano Taccone grande scalatore o Baldini grande passista, e lo posava sulla linea di partenza. Diversamente dalle biglie, era ammesso solo il tiro con il dito medio ed il pollice (o l’indice ed il pollice), il pollice da solo per i tiri brevi, prima di una curva ad esempio. Se si usciva dalla pista, si riposizionava la pallina nel punto da cui si era effettuato il tiro sbagliato e si passava il turno. Era assolutamente vietato tagliare le curve. Vinceva chi raggiungeva per primo il traguardo dopo un numero prestabilito di giri.

La variante cittadina delle palline da spiaggia erano i tappini, cioè i tappi a corona delle bibite. I tappini avevano il vantaggio di non costare nulla, si trovavano facilmente in casa o frugando nelle vicinanze dei bar, a differenza delle biglie per le quali si dovevano sborsare anche 10 lire l’una!

La pista la si inventava segnando con del gesso o una scheggia di mattone un marciapiede o utilizzando un percorso cittadino naturale che noi avevamo trovato nello spiazzo a quel tempo abbandonato che si trovava dove ora è il lato monte di Piazzale Kennedy. Quello spiazzo immenso veniva utilizzato solo per i tendoni dei circhi e per ospitare il Luna Park, o meglio, i Baracconi di Viotto, che si fermavano da novembre fino a gennaio, ma il resto dell’anno era totalmente vuoto. Si entrava per mezzo di un buco nella recinzione di maglie di ferro stando bene attenti a non avvicinarsi troppo alla carrozzeria che ne occupava un angolo per via dell’irritabile cane che ne faceva la guardia. Un tappo a corona
Un tappo a corona...

In genere ci si metteva nell’angolo diametralmente opposto alla carrozzeria, perché…. “non si sa mai”. I bordi dello spiazzo erano leggermente sopraelevati, una specie di marciapiede semisterrato correva lungo tutto il perimetro e consentiva di creare uno splendido rettilineo dal fondo in cemento regolare, mentre il resto della pista era fortemente accidentato.

Si giocava con un tappino ciascuno, con la corona rivolta verso l’alto. Le regole erano quelle delle palline da spiaggia, ma i tappini erano interscambiabili. C’erano quelli “da velocità” che si preparavano fregandone la parte superiore contro il marciapiede in modo da farli diventare lisci come lame, quelli “da curva” preparati facendo colare un po’ di cera da una candela all’interno della corona, ma solo su un lato in modo da favorire un movimento circolare del tappino, quelli “da salita” (o da discesa), appesantiti con la cera sciolta all’interno della corona in modo uniforme per evitare che prendessero troppa velocità e uscissero di pista. La pista dei tappini
La pista

Un tappino pronto per la corsa
Un tappino da corsa
All’interno della corona del tappino ufficiale, alle volte anche in quelli speciali, si incastrava l’immagine del ciclista preferito, ritagliato da un giornale o da una figurina. Anche in questo caso era severamente vietato tagliare le curve, mentre era ammesso buttare fuori il tappino dell’avversario per avvantaggiarsi.

Ogni giorno si creava una pista diversa fino ad inventarci un vero e proprio giro d’Italia dei tappini.

Si potevano trascorrere interi pomeriggi così, senza bisogno di altro.

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